Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 16 agosto 2011
OPPOSIZIONI-Scarna la contromanovra del Pd. Casini media. All’attacco solo Sel e Idv di Iaia Vantaggiato
(foto da Il Fatto Quotidiano)
Iniqua ma in compenso anche inutile. Il giudizio di Bersani è senza appello: la manovra «è ingiusta e depressiva» perché quel po' di cassa che riesce a fare a spese delle fasce più deboli verrà comunque controbilanciata, e con salati interessi, dalla diminuzione dei consumi e dal conseguente avvio della temutissima spirale recessiva, e scusate se è poco. La pensano come il segretario del Pd tutte le opposizioni che chiedono a gran voce che si eviti la blindatura del provvedimento tramite voto di fiducia.
L'opposizione affila le armi in vista di un dibattito parlamentare che si profila per il governo come una roulette russa. Bersani, dopo averci tenuti per settimane sulla corda ripetendo che lui le proposte per arginare il disastro economico ce le aveva in tasca ma a rendercele note non ci pensava per niente, si è infine deciso. La contromanovra piddina è scarna: 7 punti tra cui spiccano la dismissione di edifici pubblici per 25 miliardi di introito, l'una tantum sui capitali illegalmente esportati e l'introduzione di misure draconiane contro l'evasione.
Tonino Di Pietro la sua contromanovra la aveva presentata già da settimane e non si fa pregare per ritirarla fuori col massimo fragore. A botta calda il suo giudizio, «molte luci e molte ombre» era sembrato meno severo di quello dei colleghi oppositori. Mica vero. Qualche segnale positivo c'è, ma la manovra, nel complesso, «è di insopportabile iniquità» e pertanto «così com'è non la voteremo mai».
Sel, il partito di Nichi Vendola, non essendo rappresentato in Parlamento, non ha voce in capitolo quanto a voti in aula ma su tutti gli altri fronti promette sfracelli, dal momento che con la manovra «il governo ha dichiarato guerra all'Italia». Vendola, del resto, non è parte in causa solo in quanto leader di un partito d'opposizione ma anche come presidente di regione, e qui non è più questione di destra o sinistra perché a fare le barricate ci sono fianco a fianco tutti i presidenti degli enti locali e i sindaci, inclusi, in prima fila, il cattolicissimo Formigoni e l'ex missino Alemanno.
E fossero solo le armate dell'opposizione e i plotoni delle amministrazioni locali. La manovra non va giù a nessuno. La bersagliano le forze sociali sia dal versante sindacale, con la Fiom a un millimetro dallo sciopero generale, sia da quello delle aziende. La fucilano i giornali, inclusi quelli governativi per vocazione come il Giornale.
In queste condizioni la marcia del decreto rischia di trasformarsi in una Afghanistan parlamentare. E' vero che forse la maggioranza potrà contare sul supporto dei centristi che, pur criticando la manovra, si mantengono su una posizione diversa da quella delle altre opposizione. «La manovra tartassa i soliti noti che non evadono le tasse», parte duro Casini, poi però frena segnalando che «sembrano tuttavia recepite alcune delle nostre indicazioni» e chiude invitando l'opposizione a dimostrare «grande senso dello Stato».
Ma anche se le trattative con Casini andassero in porto non è affatto detto che la sorte del manovra, non tanto nel voto finale quanto nello stillicidio degli emendamenti andrebbe a buon fine. Giocano però a favore di Berlusconi due elementi tutt'altro che trascurabili. Il primo è la divisione delle opposizioni sulle strategie del futuro prossimo: l'Idv farà quanto in suo potere per evitare il governo tecnico, i centristi tirano la fune in direzione opposta, il Pd è equamente diviso, come al solito. Il secondo e ancor più decisivo elemento che gioca a favore del premier si chiama Giorgio Napolitano. Il presidente non ha alcuna intenzione di far ballare la nave Italia più del necessario, e si sa che quando re Giorgio alza la voce ai dignitari piddini non resta che obbedire.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Iniqua ma in compenso anche inutile. Il giudizio di Bersani è senza appello: la manovra «è ingiusta e depressiva» perché quel po' di cassa che riesce a fare a spese delle fasce più deboli verrà comunque controbilanciata, e con salati interessi, dalla diminuzione dei consumi e dal conseguente avvio della temutissima spirale recessiva, e scusate se è poco. La pensano come il segretario del Pd tutte le opposizioni che chiedono a gran voce che si eviti la blindatura del provvedimento tramite voto di fiducia.
L'opposizione affila le armi in vista di un dibattito parlamentare che si profila per il governo come una roulette russa. Bersani, dopo averci tenuti per settimane sulla corda ripetendo che lui le proposte per arginare il disastro economico ce le aveva in tasca ma a rendercele note non ci pensava per niente, si è infine deciso. La contromanovra piddina è scarna: 7 punti tra cui spiccano la dismissione di edifici pubblici per 25 miliardi di introito, l'una tantum sui capitali illegalmente esportati e l'introduzione di misure draconiane contro l'evasione.
Tonino Di Pietro la sua contromanovra la aveva presentata già da settimane e non si fa pregare per ritirarla fuori col massimo fragore. A botta calda il suo giudizio, «molte luci e molte ombre» era sembrato meno severo di quello dei colleghi oppositori. Mica vero. Qualche segnale positivo c'è, ma la manovra, nel complesso, «è di insopportabile iniquità» e pertanto «così com'è non la voteremo mai».
Sel, il partito di Nichi Vendola, non essendo rappresentato in Parlamento, non ha voce in capitolo quanto a voti in aula ma su tutti gli altri fronti promette sfracelli, dal momento che con la manovra «il governo ha dichiarato guerra all'Italia». Vendola, del resto, non è parte in causa solo in quanto leader di un partito d'opposizione ma anche come presidente di regione, e qui non è più questione di destra o sinistra perché a fare le barricate ci sono fianco a fianco tutti i presidenti degli enti locali e i sindaci, inclusi, in prima fila, il cattolicissimo Formigoni e l'ex missino Alemanno.
E fossero solo le armate dell'opposizione e i plotoni delle amministrazioni locali. La manovra non va giù a nessuno. La bersagliano le forze sociali sia dal versante sindacale, con la Fiom a un millimetro dallo sciopero generale, sia da quello delle aziende. La fucilano i giornali, inclusi quelli governativi per vocazione come il Giornale.
In queste condizioni la marcia del decreto rischia di trasformarsi in una Afghanistan parlamentare. E' vero che forse la maggioranza potrà contare sul supporto dei centristi che, pur criticando la manovra, si mantengono su una posizione diversa da quella delle altre opposizione. «La manovra tartassa i soliti noti che non evadono le tasse», parte duro Casini, poi però frena segnalando che «sembrano tuttavia recepite alcune delle nostre indicazioni» e chiude invitando l'opposizione a dimostrare «grande senso dello Stato».
Ma anche se le trattative con Casini andassero in porto non è affatto detto che la sorte del manovra, non tanto nel voto finale quanto nello stillicidio degli emendamenti andrebbe a buon fine. Giocano però a favore di Berlusconi due elementi tutt'altro che trascurabili. Il primo è la divisione delle opposizioni sulle strategie del futuro prossimo: l'Idv farà quanto in suo potere per evitare il governo tecnico, i centristi tirano la fune in direzione opposta, il Pd è equamente diviso, come al solito. Il secondo e ancor più decisivo elemento che gioca a favore del premier si chiama Giorgio Napolitano. Il presidente non ha alcuna intenzione di far ballare la nave Italia più del necessario, e si sa che quando re Giorgio alza la voce ai dignitari piddini non resta che obbedire.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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