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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 2 agosto 2011

LAURA BOLDRINI (UNHCR): «Una tragedia disumana Non c’è limite al peggio» intervista di Giorgio Salvetti

«Non c’è proprio limite al peggio». Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) dovrebbe ormai essere abituata alle tragedie che si consumano ogni giorno nel canale di Sicilia (una media di 8 morti al giorno nel 2011), eppure questa volta è particolarmente colpita da quei 25 corpi chiusi dentro i sacchi sul molo di Lampedusa.

Possibile che neppure questa scena terrificante riesca a smuovere le coscienze e che anche questa volta tutto passi come se fosse inevitabile?
E’ una nota dolente e stridente soprattutto per noi, per la nostra civiltà. Provate a mettervi nei panni di quelle persone, civili che da che mondo e mondo scappano dalla guerra. Ricacciati con la violanza in quella stiva perché in coperta non c’era spazio fisico per altri esseri umani. E’ una cosa disumana. C’è stata moltissima tensione su quella imbarcazione: alcuni migranti sono stati portati in ambulatorio con arti frattuari, altri non volevano lasciare quei corpi. Hanno visto morire i loro familiari. Pensiamo a cosa può voler dire perdere una madre o un figlio in quel modo. Spero davvero che ci sarà un funerale e che queste persone avranno l’occasione di dare un estremo saluto ai loro cari. La dinamica è ancora tutta da chiarire ed è importante che venga aperta un’inchiesta della magistratura. Ora i testimoni di questa tragedia sono traumatizzati, ci vorrà tempo per capire cosa è avvenuto.

La disperazione porta altra disperazione, cosa pensi di quello che è avvenuto ieri a Bari?
Bisogna essere chiari. A Bari hanno protestato persone che lamentano ritardi o dinieghi alle loro domande di asilo. Il problema è che dalla Libia arrivano persone provenienti da altri paesi in fuga da altre guerre o violazioni dei diritti umani. Ma anche migranti che in Libia semplicemnte avevano un lavoro. La convenzione di Ginevra prevede che l’asilo debba essere concesso solo a quegli stranieri che temeno di essere perseguitati nei loro paesi di origine. Come ad esempio, eritrei, somali e ivoriani. Tutti hanno il diritto di manifestare ma la violenza non è giustificabile.

E che altro si può fare allora?
C’è bisogno di soluzioni concrete. O si dà il permesso di soggiornoa a tutti per motivi umanitari (ma questa è una scelta politica che non compete alle commissioni), oppure si incentivano i rimpatri volontari assistiti. Si tratta cioè di dare un incentivo anche economico a persone che una volta rientrate nel loro paese di origine devono rifarsi una vita. Altrimenti si rischia di aumentare notevolmente il numero degli irregolari.

La Politica, appunto. Oggi in Senato si vota il decreto Maroni che allarga il periodo di reclusione nei Cie a 18 mesi. Non tira certo una buona aria.
Quella dei Cie è un’altra questione ancora. Siccome però non mi sembra ci siano i presupposti per cambiare l’aria che tira, vorrei che si pensasse a soluzioni pratiche e percorribili in tempi utili. C’è bisogno dimettere a punto un sistema di accoglienza che oggi è diffuso sul territorio con standard più uniformi a supporto anche di soluzioni più a misura d’uomo in centri più piccoli. E, ripeto, credo che un programma per i rimpatri volontari assistiti sia un risposta praticabile per quei migranti che non hanno bisogno di protezione ma che non possono essere abbandonati a se stessi.







LAMPEDUSA · I corpi di 25 africani trovati su un barcone. Hanno cercato disperatamente di salire sul ponte per respirare. Picchiati e soffocati nella stiva di Leo Lancari


(foto TG3.it)
Ci hanno provato con tutte le forze a uscire da quel buco maledetto dove l’aria stava diventando sempre di meno e il caldo sempre più asfissiante. Ci hanno provato spinti dalla disperazione di chi si vede braccato come un topo in trappola. Uno di loro a un certo punto è anche riuscito a salire sul ponte della nave, a respirare per un attimo l’aria fresca, ma ha pagato caro quel gesto di ribellione. E’ stato preso e buttato a mare senza pietà. Gli altri, quelli che tentavano come lui di uscire dalla stiva, sono stati invece picchiati e ricacciati in fondo a quel buco nero dove hanno trovato la morte. «Gridavano per uscire dalla botola ma venivano ributtati giù. Chiedevano aiuto perché non avevano ossigeno», hanno raccontato i testimoni.
L’ultima tragedia dell’immigrazione nel Canale di Sicilia è ambientata in una stiva di due metri per tre, senza oblò né prese d’aria, con dentro 26 giovani africani, quasi tutti di origine nigeriana, e chiusa da una botola. Sopra, sul ponte del barcone lungo 15 metri e partito tre giorni fa dalla Libia, altri 270 disperati, ammassati anch’essi come bestie ma almeno con la possibilità di respirare. «Eravamo tantissimi - ha raccontato Hamed, un nigeriano di 25 anni -. Qualche libico, molti nigeriani, alcuni somali. Molti sono scesi sottocoperta perché tutti sul ponte non potevano starci».
Stando alle prime ricostruzioni fatte ieri dagli inquirenti, sarebbero stati proprio gli immigrati che avevano trovato posto sul ponte a impedire ai loro compagni di uscire dalla stiva per paura che la barca si rovesciasse. E qualcuno di loro avrebbe buttato a mare l’unico che era riuscito a farcela. Grazie alle testimonianze raccolte, almeno tre responsabili di queste morti sarebbero già stati individuati.
A scoprire i 25 corpi ormai senza vita sono stati ieri quattro militari di una motovedetta della Guardia costiera spedita come accade sempre a soccorrere il barcone quando si trovava a 35miglia Sudest da Lampedusa. Trasbordato sulla motovedetta il gruppo, tra cui 36 donne e 21 bambini, i militari hanno aperto la botola della stiva scoperchiandone l’orrore. I corpi erano ammucchiati, qualcuno in avanzato stato di decomposizione a causa del caldo. Tutti sarebbero morti per asfissia per la mancanza d’aria e per le esalazioni di monossido di carbonio rilasciate dal motore. Morti, a quanto pare, da almeno due giorni.
La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per stabilire quanto è accaduto a bordo del barcone. Quando sono stati soccorsi dalla Guardia costiera nessuno dei 270 africani sopravvissuti ha detto una parola su quanto era avvenuto nella stiva della nave. Poi, lentamente, sono cominciate le prime ammissioni.
Agli agenti della Squadra mobile di Agrigento sarebbero stati proprio gli immigrati a impedire a chi stava nella stiva di risalire all’aria aperta. E sempre loro avrebbero gettato a mare senza alcuna pietà il ragazzo che era riuscito a conquistare il ponte. Il procuratore di Agrigento Renato Di Natale ha aperto un fascicolo in cui si ipotizza il reato di omicidio in conseguenza di un altro reato e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per ora è contro ignoti, ma nei prossimi giorni, con i primi interrogatori, potrebbero arrivare anche i primi avvisi di garanzia. Fino a ieri sera non risultava che a bordo dell’imbarcazione ci fossero degli scafisti.
I corpi delle 25 vittime di questa ultima tragedia giacevano ieri nei sacchi verdi allineati lungo il porto di Lampedusa. Sei verranno sepolti sull’isola, mentre le altri sono state trasportati dalla motonave Moby a Porto Empedocle per l’autopsia che dovrà confermare le cause della morte. Per qualche ora ieri si è pensato che a uccidere i 25 africani potesse essere stata un’epidemia, ma l’allarme sanitario è rientrato praticamente subito «Nessuno dei quasi 300 clandestini sbarcati sull’isola questa notte (la scorsa notte, ndr)presenta segni e sintomi riconducibili a patologie trasmissibili e diffusibili», ha spiegato l’assessore regionale per la Salute della Sicilia Marco Russo, che ha ha anche confermato che alcune delle 25 vittime «presentavano segni evidenti di trauma cranico».
Sulla tragedia del mediterraneo ieri il Pd e l’Italia dei valori ha chiesto al ministro degli Interni Roberto Maroni di riferire al parlamento. Difficilmente, però, il titolare del Viminale farà autocritica sulla politica dei respingimenti che fino a oggi ha provocato migliaia di vittime, costringendo gli immigrati a viaggi della disperazione come quello di ieri. Quella di ieri - ha detto ieri il sottosegretario agli Interni con delega all’immigrazione, Sonia Viale, è l'ennesima tragedia provocata da «trafficanti di uomini senza scrupoli». Trafficanti che però, ha dimenticato di aggiungere il sottosegretario, fanno affari solo grazie alle politiche esclusivamente repressive messe in atto da governi come quello italiano.

fonte intervista e articolo 'Il Manifesto'
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