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di 'Per quel che mi riguarda'

giovedì 28 luglio 2011

Palma d’Oro di Marco Travaglio

(foto tratta da 'Il Messaggero')
Dopo tanti avvocati e alcuni imputati, abbiamo finalmente un magistrato ministro della Giustizia. D’accordo, Francesco Nitto Palma ha dovuto superare alcuni esamini facili facili, per dissipare la naturale diffidenza che la categoria delle toghe comprensibilmente suscita nel mondo politico: tipo essere un berlusconiano di ferro, avere almeno un amico pregiudicato per corruzione giudiziaria (Previti), aver fatto per lui alcune leggi per salvarlo dalla galera, aver fatto archiviare inchieste eccellenti come quella su Gladio (si può anche dire “insabbiare”, come scrisse l’Europeo, che Palma denunciò e perse la causa). Ma li ha brillantemente superati tutti. Oltretutto, ad abundantiam, ha pure sposato la figlia dell’ex capo degli ispettori ministeriali che nel 1994-‘95 perseguitò il pool Mani Pulite, Ugo Dinacci, diventando il genero dell’avvocato Filippo Dinacci, difensore di B. Un bijou. Dopo i numerosi appelli del capo dello Stato per una “figura di alto profilo”, il Cavaliere ha trovato lo statista giusto. Dal centrosinistra, del resto, nessuno ha detto una parola. Napolitano aveva storto il naso sul nome di Anna Maria Bernini, e giustamente: avvocato di Bologna, la signora è entrata in politica non grazie a B. ma a Fini (dunque è già sospetta), e soprattutto non frequenta Previti né ha legiferato per lui (dunque è doppiamente sospetta): vade retro. Così il popolare Cesarone conquista finalmente, seppure per interposta persona e con 17 anni di ritardo, quel ministero della Giustizia a cui agognava fin dal 1994. Allora era ancora incensurato, ma incontrò sulla sua strada un presidente della Repubblica piuttosto fisionomista: a Scalfaro bastò guardarlo in faccia per decidere che era meglio persino Alfredo Biondi. “Se lo conosci, lo Previti”, commentò Montanelli. Anche Ciampi nel 2001 rimandò indietro un ministro della Giustizia: Maroni, respinto per via della condanna a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, uno che visti i successori pare Cavour. Scalfaro e Ciampi avevano letto attentamente l’articolo 92 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Cioè li nomina lui, non il premier. E, se non gli piacciono, si rifiuta di nominarli. Evidentemente Nitto Palma a Napolitano piace, come gli altri “ministri di alto profilo” nominati negli ultimi mesi: l’imputato per ricettazione Aldo Brancher (poi condannato), l’indagato per mafia Saverio Romano (ora imputato), l’attachè del Biscione Paolo Romani, per non parlare degli ultimi sottosegretari “responsabili”. Ieri, durante la gaia cerimonia della firma al Quirinale, qualcuno ha trattenuto il fiato. Vuoi vedere – sussurrava tremando qualche malpensante – che il capo dello Stato, così allergico ai magistrati che entrano in politica senza dimettersi dalla magistratura, farà una lavata di capo al neoministro, che sta in Parlamento dal 2001 senz’aver mai lasciato la toga, anzi è tuttora in aspettativa, pronto a tornare in servizio alla prima trombatura? Invece niente, per fortuna è filato tutto liscio. I severi mòniti del Colle ai magistrati che usano la toga come trampolino di lancio per la politica sono riservati a quelli come De Magistris, che quando fu eletto europarlamentare attese ben due mesi a dimettersi da magistrato, suscitando le ire di Pigi Cerchiobattista. Ora che il magistrato Palma, da dieci anni deputato, diventa addirittura ministro e, come tale, titolare dell’azione disciplinare contro i suoi colleghi, tutti zitti. Il bello della politica italiana è proprio questo: ogni volta che si pensa di aver toccato il fondo, c’è chi scava più in fondo. Palma farà rimpiangere Alfano che a sua volta ha fatto rimpiangere Mastella che da parte sua aveva fatto rimpiangere Castelli e così via, su su fino a Mancuso, Biondi, Martelli, Rognoni, Martinazzoli. Resta da capire chi, dopo Palma, riuscirà a farlo rimpiangere. Ma che lo si troverà non c’è dubbio: ci penserà il centrosinistra.

fonte articolo'Il Fatto Quotidiano'
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