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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 30 luglio 2011

GIUSTIZIA: Il governo delle disuguaglianze di Giuseppe Di Lello

(vignetta Sarx88-Il Fatto-30.07.11)
Sarà pur traballante per i colpi subiti con le elezioni amministrative, i referendum e le inchieste sui vari scandali, ma per gli affari personali - giustizia in primis - il cavaliere tiene saldamente in pugno la sua maggioranza parlamentare e continua a servirsene per ottenere l’impunità nei tanti processi che ancora lo assillano. Cambia nome il guarda sigilli ma non cambiano gli spartiti che rimangono quelli scritti da Ghedini e compari. La musica è sempre la stessa: rimodellare il processo penale per farne uno strumento adeguato a proteggere i potenti, inutile per l’accertamento della verità ma utile per procurare lungaggini e prescrizioni da rivendere poi come assoluzioni sul mercato elettorale.
L’accorciamento dei tempi di prescrizione con la ex Cirielli da solo non bastava senza un complementare allungamento dei tempi del processo che garantisse con maggior sicurezza il raggiungimento dello scopo: ed ecco il processo irragionevolmente lungo.
In barba al giusto processo del novellato articolo 111 della Costituzione che lo
vorrebbe di ragionevole durata per approdare ad una sentenza definitiva e non ad una prescrizione. Non a caso giusto processo e ragionevole durata sono termini complementari e inscindibili e non si vede come il processo possa continuare a definirsi giusto pur diventando infinito: molto probabilmente la Corte costituzionale sarà chiamata a sciogliere questo rebus.
Il giudice del dibattimento non avrà più il potere di ammettere solo le testimonianze utili all’accertamento dei fatti, ma dovrà sorbirsi, a pena di nullità, tutte quelle indicate dalle parti, ad eccezione delle testimonianze vietate dalla legge o manifestamente non pertinenti. Le sentenze passate in giudicato in altri processi poi non potranno essere più utilizzate ai fini della prova del fatto in esse accertato e, nel caso venissero acquisite, la difesa potrebbe chiamare a testimoniare tutte le persone le cui dichiarazioni sono state utilizzate per la motivazione della sentenza. Non solo dunque il giudicato non vale più nulla, ma si può addirittura richiamare in campo testimoni già sentiti che potrebbero modificare la versione dei fatti già resa, con buone prospettive per la revisione di sentenze definitive.
Berlusconi sa bene che la riforma della giustizia da lui sognata passa necessariamente per alcune modifiche costituzionali, con tempi lunghi che non coincidono con la residua durata della legislatura. Semmai dovesse andare in porto, alla fine ci sarebbe sempre un referendum confermativo senza quorum: con l’aria che tira, il suo sogno andrebbe comunque in frantumi. È quindi ovvio che le vere modifiche a cui tiene sono queste salva premier, da attuare con leggi ordinarie messe al sicuro con voti di fiducia. La Lega, dopo avere cercato di salvarsi l’anima e l’elettorato con l’arresto di Papa e, forse, a settembre con quello di Milanese, al Senato ha votato compatta e convinta l’ennesima legge ad personam e la voterà di nuovo alla camera. Chi sperava che sul fronte della legalità potesse procurare guai a Berlusconi deve prendere atto che così non è e mai sarà: il sodalizio negli affari reggerà fino alla fine e la sinistra dovrà contare sulle sue sole forze per tentare di arginare questa deriva di regime che sta scardinando lo stato di diritto. È una battaglia improba che non si può vincere con i soli appelli a «buttarlo giù» perché Berlusconi sa ben resistere a tutto, slogan compresi.
È necessario abbandonare ogni tentazione di aderire ai richiami alla coesione nazionale e puntare invece ad una saldatura tra lotte sociali e difesa della democrazia. Il «tanto peggio, tanto meglio» praticato da questo governo sulla pelle degli strati sociali più indifesi va combattuto su tutti i fronti.
Guerre, povertà, disuguaglianze sociali e disuguaglianze dei cittadini di fronte alla legge si tengono tutte insieme e cedere su alcune vuole dire solo fare il gioco di Berlusconi e dei finti moderati.

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