
Dentro elenchi, somme, calcoli cifrati: il governo va sotto di uno, no, è in vantaggio di due, Guzzanti vota la sfiducia anzi no, non la vota, alla prima chiamata ne mancano dieci, si asterranno? no, aspettano di vedere se sono decisivi, votano alla seconda. Retoriche in gara: le metafore a catena di Bersani, le iperboli di Bocchino, i teoremi di Cicchitto inchiodati a Tangentopoli.
Sventolio di bandiere tricolori per il vincitore redivivo, di fianco ai fazzoletti e alla cravatte verdi dei Padani. Agguato a Fini, «dimissioni!», all’uscita dall’aula: si regolano pur sempre i conti fra ex fascisti, che di modi ruvidi se ne intendono.
Tutta la politica, quando vuole, se ne intende: compravendite, false promesse, conflitti all’ok Corral e ricomposizioni artificiali, alleanze fatte a pezzi, governi morti senza sepoltura che sopravvivono come spettri, «abbiamo i numeri, andiamo avanti», il tutto all’ombra del galateo istituzionale. Dove sta la violenza, «dentro » o «fuori»? «Fuori» non c’è galateo. Non si ricorda a memoria un’invasione di campo a partita in corso come quella di ieri: studenti, precari, operai, terremotati, «rifiutati», cortei concentrici sul bordo del Palazzo.
Mai come ieri, non c’era un «dentro» e non c’era un «fuori»: di qua e di là si giocava la stessa partita, «è ora di voltare pagina», e se dentro non ce la fate fuori ci sono i rinforzi. «Dentro», la pagina si è bloccata: «ho i numeri, vado avanti». «Fuori», non c’è posto per gli spettri: l’era berlusconiana va seppellita, per davvero, dai suoi prodotti più autentici: studenti senza università, terremotati senza casa, operai senza diritti, precari senza lavoro. Il diritto del rovescio. La verità della fiction. Piazza del Popolo, la parola fine sulla sceneggiatura scritta e diretta da Silvio Berlusconi.
Alle tre del pomeriggio «dentro» è tutto finito da un pezzo, pranzo compreso. «Fuori», Via del Corso non pullula di onorevoli. Saranno altrove, in via del Babuino, davanti all’Hotel De Russie, quello dove Tarantini preparava le ragazze per le cene a Palazzo Grazioli, e dove ora c’è la carcassa di una macchina bruciata? Non pullulano neanche lì. Le immagini di Roma bruciata impazzano sui siti e in tv, ma non è lo stesso che vederle dal vivo, e dal vivo non le guardano: il Palazzo è blindato, e non solo dalla polizia. Poi cominciano le geremiadi sulla violenza, i buoni e i cattivi, le proteste civili e quelle incivili. Il reale, però, non si lascia catalogare. Non tutte le fiction finiscono con l’happy end prescritto dall’autore. Qualche volta, finiscono a soggetto.
Fonte articolo 'IL Manifesto'
condividi il post su
link collegati:
Nessun commento:
Posta un commento