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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 10 novembre 2010

Siete ridicoli di Marco Travaglio

(vignetta enteroclisma)
Fateci caso. Le migliori gag del monologo travolgente di Roberto Benigni a “Vieni via con me” nascono dalla ripetizione testuale di una frase del presidente del Consiglio e di una del ministro per le Riforme Istituzionali. La prima: “Il caso Ruby è una vendetta della mafia contro di me”. La seconda: “Per ora sto dietro il cespuglio”. Frasi di una comicità irresistibile. Il capo di governo del Paese che ha visto cadere magistrati, carabinieri, poliziotti, giornalisti e politici morti ammazzati dalla mafia se ne esce sostenendo che, per colpire lui, la mafia non usa più la lupara, il kalashnikov, il tritolo o il plastico, ma le mignotte. E il ministro più influente del Paese, quello che si esprime farfugliando frasi sconnesse o agitando il dito medio, tiene a far sapere che lui ormai vive dietro un cespuglio, lasciando agli elettori attoniti immaginare a quali attività è dedito in quella curiosa location. Quelle due frasi le avevamo sentite ripetere in tutti i tg e gr dalla viva voce dei loro autori, ma pochissimi le avevano trovate ridicole, almeno finchè non han sentito Benigni. Eppure non era difficile arrivarci da soli. Il guaio è che, nel paese dell’assuefazione e dell’ipse dixit, se un politico dice una bestialità, questa viene registrata dalla stampa al seguito con la massima serietà e compunzione. Così nessuno ne nota il lato comico. Segue dibattito. Roberto avrebbe potuto proseguire per ore: la carriera di uno che ha fondato un partito in un supermercato e un altro sul predellino della sua auto e se ne va in giro con un casco di bitume sagomato come Big Jim e Ken, è un serbatoio inesauribile. La domanda è: com’è possibile che un simile pagliaccio sia ancora a Palazzo Chigi? Mentre Benigni sbeffeggiava il pornocomplotto della mafia e il condottiero lumbard accovacciato dietro la siepe con le braghe a mezz’asta, pensavo a quanta gente, negli ultimi vent’anni, ha preso sul serio questi due buffoni patentati. Sicuramente, a sbudellarsi davanti alle gag di Benigni su B&B, c’era D’Alema, che ai tempi della Bicamerale scambiò Al Pappone per “un sincero riformatore” e gli consentì di mettere la mani sulla Costituzione; c’era Veltroni, che proprio tre anni fa predicava “le riforme insieme” con B. e poi, in campagna elettorale, giurava di “non attaccarlo mai più”, anzi manco lo nominava, chiamandolo “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”; e c’era Bersani, che ancora qualche mese fa predicava il “dialogo sul federalismo” con quello che armeggia col dito medio dietro il cespuglio. E c’erano sicuramente i tromboni del Pompiere della Sera, che han passato gli ultimi vent’anni a minimizzare le boiate di B&B, a esaltare il Cainano come “perno del bipolarismo”, a incoraggiarlo nella sua immaginaria “rivoluzione liberale”, a invitare chiunque passi per strada a “dialogare” con lui e “guai a demonizzarlo”. Quando, nel 2001, Le Monde venne a intervistare Montanelli su che cosa potesse fare l’Europa contro B., il grande Indro rispose: “Trattarlo con tutta l’irrisione e il disprezzo che merita”. Infatti così l’ha sempre trattato la stampa estera: come un pagliaccio, tanto più pericoloso proprio in quanto è riuscito a spacciarsi per uno statista. In Italia, a parte qualche rara avis (Montanelli, Biagi, Sartori, pochi giornalisti e qualche comico), tutti l’han sempre preso terribilmente sul serio, legittimandolo come se fosse uno normale. Sarebbe bastata una risata, per seppellirlo, se fin dal ’94 chi ha in mano la politica e l’informazione si fosse incaricato di dipingere B. per quello che è: gli italiani, non foss’altro che per opportunismo, non voterebbero mai un uomo ridicolo. Lui lo sa benissimo, infatti ha sterminato più comici che giornalisti. E ha sempre irriso agli avversari, riducendoli a macchiette (si pensi alle campagne anti-Prodi, capo del miglior governo degli ultimi trent’anni, dal 1996 al ’98). Sono i suoi avversari che, oltre a non opporglisi mai, hanno sempre evitato di deriderlo come il politico più ridicolo dell’universo. Forse perché non lo trovano ridicolo. O forse perché lo sono anche loro. Chi si somiglia si piglia.


fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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