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di 'Per quel che mi riguarda'

lunedì 8 novembre 2010

Pompei: «Difficile valorizzare senza una vera cura», parla l’ex soprintendente Guzzo di Arianna Di Genova

(immagine adnkronos)
Quella casa che per convenzione viene chiamata
l’Antica Armeria dei Gladiatori a Pompei non esiste più. A via dell’Abbondanza, nel cuore di uno dei siti più famosi del mondo, si registra solo un cumulo di macerie e l’area, off limits fin dalle prime ore della mattina, è stata chiusa per preservare i frammenti della Domus, o meglio quel che resta di un bene considerato unico nel campo dell’archeologia (grazie anche all’iconografia di stampo militare rivenuta all’interno di questo edificio rettangolare che probabilmente faceva parte di un complesso più grande).
Il ministero, di fronte alla catastrofe e paventando lo sciopero della cultura del 12 novembre che chiuderà l’accesso all’arte, si affanna nell’arduo compito di smorzare le polemiche (in molti invocano le dimissioni di Bondi, dopo la lunga teoria di reiterati disastri e danni del patrimonio) e si appella alla possibilità di salvezza di alcune pitture. «Verosimilmente - fa sapere in una nota il Mibac - il crollo ha interessato le murature verticali ricostruite, mentre parrebbe essersi conservata la parte più bassa, per un’altezza di circa 1,50 metri. E cioè, la parte che ospita le decorazioni affrescate...».
Pietro Guzzo, ex soprintendente archeologico di Pompei, in pensione dal 2009, è desolato ma «legge» i segni della disfatta con l’esperienza di chi la sa lunga. «Il nostro cosiddetto ’patrimonio’ è un insieme molto fragile - spiega -. Il sito di Pompei è esposto alle intemperie da 250 anni e necessita di una costante cura e di continui interventi di consolidamento. Se non conserviamo i beni artistico- storici nella loro forma, sarà molto difficile valorizzarli. A gennaio di questo anno, era accaduta una cosa molto simile alla Casa dei casti amanti (posizionata più verso ovest, aveva subìto la frana di un muro perimetrale, ndr). Il crollo è dovuto – in entrambi i casi – al terreno non scavato su cui si appoggiano: circa 22 ettari della città antica non sono mai stati riportati alla luce (solo 44 sono stati scavati dei 66 sui quali si estendeva Pompei). Quel terreno è incoerente, formato da lapilli e cenere, quindi subisce infiltrazioni idriche ed è soggetto a smottamenti».
Basta qualche pioggia allora per polverizzare il patrimonio italiano?
«Non è proprio così - continua Guzzo - La manutenzione ordinaria, l’intervento quotidiano dovrebbero essere organizzati su una base gerarchica di urgenze, su una scala reale di pericolo. Ma per fare questo, occorre acquisire una conoscenza minuta e precisa di tutta la parte architettonica del costruito di Pompei. In passato, era stato preparato un programma sistematico, che ’pescava’ dalle diverse competenze, veniva sempre aggiornato e forniva previsioni sullo stato dei beni. Si era partiti da un 14% dell’area messa in sicurezza e avevamo raggiunto il 31%, nel 2009. Un lavoro che naturalmente non vede nessuno né dà titoli clamorosi sui giornali. Il problema vero è che le risorse e le attenzioni sono sempre inferiori alle necessità - l’Italia è il paese che investe di meno sulla cultura in Europa - però la programmazione permette di essere, almeno, a posto con la coscienza».
Adesso, quel sistema informatico, che offriva una mappatura della complessità di un sito-tesoro come Pompei, giace dentro i computer degli uffici di Boscoreale e non si sa bene che fine abbiano fatto tutte le valutazioni costate denaro e anni di studio agli esperti di ogni settore.
«Non c’è da meravigliarsi che poi accadano queste cose - incalza ancora Guzzo - Certo, i commissariamenti hanno, dalla loro parte, un’arma formidabile: poter saltare le procedure burocratiche e spendere subito i soldi necessari, ma bisogna vedere in che direzione si vogliono impegnare quei finanziamenti. Oggi si sente parlare molto di valorizzazione e si dice anche che i visitatori siano in costante aumento, ma è solo una goccia nel mare. Il punto su cui concentrarsi è un altro: passando il tempo, lo stato della conservazione dei beni antichi non può che peggiorare. E gli investimenti, quando vengono fatti, sono sempre una scelta politica ed economica. Non va dimenticato che per ogni euro speso a Pompei esiste un indotto ’turistico’ che lo triplica, l’archeologia è un volano forte della nostra economia...».

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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