Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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sabato 6 novembre 2010
Oggi a Perugia Fini fonda un partito. Affonderà Berlusconi? Iaia Vantaggiato
«Non si convocano 5mila persone per lasciare tutto come era prima», garantisce un finiano doc, di quelli duri. Una sola cosa, alla vigilia della convention/battesimo del partito di Gianfranco Fini pare certa: da Perugia non arriverà nessun segnale di pace.
Forse non sarà ancora la rottura conclamata. Anche se Italo Bocchino nega e smentisce, all’interno di Futuro e Libertà la distinzione tra i falchi e le colombe c’è ancora tutta e Fini non può permettersi di perdere pezzi per la strada. Una qualche diplomazia, o più precisamente una certa ipocrisia, dovrà ancora mettere in campo. Ma la stragrande maggioranza dei suoi seguaci vuole bruciarsi i ponti alle spalle. Si aspetta un segnale inequivocabile, e il presidente della Camera sembra determinato a offrirglielo.
Difficile però indovinare oggi in quali forme si tradurrà concretamente quella «linea di demarcazione netta» che i suoi si aspettano e promettono. C’è chi, come Granata e Briguglio, suggerisce il passaggio all’appoggio esterno, il ritiro della delegazione di Fli dal governo. Sino a ieri mattina pareva l’ipotesi più quotata, oggi sembra decaduta. Il Pdl lo prenderebbe come strappo finale, e per Fini la minaccia di perdere l’appoggio dei più influenti fra i suoi seguaci, da Silvano Moffa al capogruppo al Senato Viespoli, diventerebbe più che realistica.
Ma anche la via suggerita dall’ala più dialogante è poco praticabile. Si tratterebbe di elencare una lista precisa di proposte, in particolare sul fronte della politica economica, e subordinare all’effettiva adozione di quelle misure la sopravvivenza del governo e la sorte dei rapporti fra Fli e Pdl. In questo caso, però, per Berlusconi sarebbe un gioco garantire il suo convinto sostegno per poi rinviare all’infinito conquistando così tempo prezioso, sino a rendere se non impossibile molto improbabile la formazione di un governo tecnico. La mossa di Tremonti che, annunciando lo stanziamento di un miliardo per l’università e la ricerca, ha accolto in anticipo quella che certamente sarebbe stata una delle principali condizioni dei futuristi è un segnale molto chiaro in questa direzione.
Oltretutto a uscire scontenta e delusa dalle assise, in questo caso, sarebbe la platea, composta quasi tutta da amministratori locali per cui restare in mezzo al guado è molto più pericoloso di quanto non sia per i parlamentari, e che quindi spingerà con tutte le proprie forze in direzione della scelta drastica.
Per l’ennesima volta nell’arco di pochi mesi, Fini si trova di fronte a una porta molto stretta ed è probabile che lui stesso non abbia ancora preso una decisione definitiva. Ieri ha assicurato di avere le idee già chiarissime, ma ha anche aggiunto che prima di esprimerle pubblicamente, rendendole così irrevocabili, vuole ascoltare con massima attenzione il dibattito per poi «farne una sintesi».
In realtà, l’ex leader di An sa perfettamente di dover non solo trovare la sintesi tra le posizioni dei suoi ma anche sottrarsi a quel gioco del cerino che potrebbe rivelarsi fatale per la sua immagine senza in compenso danneggiare significativamente quella del secondo giocatore, Silvio Berlusconi. Sinora è riuscito a evitare la rottura senza per questo dare l’impressione di essere un leader debole, indeciso o, peggio, ipocrita.
Ma è un esercizio che diventa di passaggio in passaggio più arduo, e uscire da un’assemblea tanto solenne quanto può esserlo la fondazione di un partito limitandosi a palleggiarsi con l’ex alleato la responsabilità di aprire formalmente una crisi che nella sostanza è già spalancata potrebbe rivelarsi fatale per il suo futuro politico. La decisione forse più gravida di conseguenze della sua vita politica, l’ex segretario del Fronte della Gioventù e poi del Msi, ex presidente di An ed ex cofondatore del Pdl la prenderà da solo, tutt’alpiù ispirato dalle note di Goffredo Mameli ma anche di Ennio Morricone e Bruce Springsteen. E condizionato dalla richiesta di chi lo ha sin qui seguito rischiando di pagare un prezzo alto: «Il gioco del cerino deve finire domenica».
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Forse non sarà ancora la rottura conclamata. Anche se Italo Bocchino nega e smentisce, all’interno di Futuro e Libertà la distinzione tra i falchi e le colombe c’è ancora tutta e Fini non può permettersi di perdere pezzi per la strada. Una qualche diplomazia, o più precisamente una certa ipocrisia, dovrà ancora mettere in campo. Ma la stragrande maggioranza dei suoi seguaci vuole bruciarsi i ponti alle spalle. Si aspetta un segnale inequivocabile, e il presidente della Camera sembra determinato a offrirglielo.
Difficile però indovinare oggi in quali forme si tradurrà concretamente quella «linea di demarcazione netta» che i suoi si aspettano e promettono. C’è chi, come Granata e Briguglio, suggerisce il passaggio all’appoggio esterno, il ritiro della delegazione di Fli dal governo. Sino a ieri mattina pareva l’ipotesi più quotata, oggi sembra decaduta. Il Pdl lo prenderebbe come strappo finale, e per Fini la minaccia di perdere l’appoggio dei più influenti fra i suoi seguaci, da Silvano Moffa al capogruppo al Senato Viespoli, diventerebbe più che realistica.
Ma anche la via suggerita dall’ala più dialogante è poco praticabile. Si tratterebbe di elencare una lista precisa di proposte, in particolare sul fronte della politica economica, e subordinare all’effettiva adozione di quelle misure la sopravvivenza del governo e la sorte dei rapporti fra Fli e Pdl. In questo caso, però, per Berlusconi sarebbe un gioco garantire il suo convinto sostegno per poi rinviare all’infinito conquistando così tempo prezioso, sino a rendere se non impossibile molto improbabile la formazione di un governo tecnico. La mossa di Tremonti che, annunciando lo stanziamento di un miliardo per l’università e la ricerca, ha accolto in anticipo quella che certamente sarebbe stata una delle principali condizioni dei futuristi è un segnale molto chiaro in questa direzione.
Oltretutto a uscire scontenta e delusa dalle assise, in questo caso, sarebbe la platea, composta quasi tutta da amministratori locali per cui restare in mezzo al guado è molto più pericoloso di quanto non sia per i parlamentari, e che quindi spingerà con tutte le proprie forze in direzione della scelta drastica.
Per l’ennesima volta nell’arco di pochi mesi, Fini si trova di fronte a una porta molto stretta ed è probabile che lui stesso non abbia ancora preso una decisione definitiva. Ieri ha assicurato di avere le idee già chiarissime, ma ha anche aggiunto che prima di esprimerle pubblicamente, rendendole così irrevocabili, vuole ascoltare con massima attenzione il dibattito per poi «farne una sintesi».
In realtà, l’ex leader di An sa perfettamente di dover non solo trovare la sintesi tra le posizioni dei suoi ma anche sottrarsi a quel gioco del cerino che potrebbe rivelarsi fatale per la sua immagine senza in compenso danneggiare significativamente quella del secondo giocatore, Silvio Berlusconi. Sinora è riuscito a evitare la rottura senza per questo dare l’impressione di essere un leader debole, indeciso o, peggio, ipocrita.
Ma è un esercizio che diventa di passaggio in passaggio più arduo, e uscire da un’assemblea tanto solenne quanto può esserlo la fondazione di un partito limitandosi a palleggiarsi con l’ex alleato la responsabilità di aprire formalmente una crisi che nella sostanza è già spalancata potrebbe rivelarsi fatale per il suo futuro politico. La decisione forse più gravida di conseguenze della sua vita politica, l’ex segretario del Fronte della Gioventù e poi del Msi, ex presidente di An ed ex cofondatore del Pdl la prenderà da solo, tutt’alpiù ispirato dalle note di Goffredo Mameli ma anche di Ennio Morricone e Bruce Springsteen. E condizionato dalla richiesta di chi lo ha sin qui seguito rischiando di pagare un prezzo alto: «Il gioco del cerino deve finire domenica».
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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