Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 11 ottobre 2010
La felicità si ritrova oltre il pil economico di Loretta Napoleoni
Tutti sanno che il PIL è un cattivo indicatore del benessere, non esiste però un valore che possa sostituirlo, almeno fino ad ora. Il governo canadese ha da poco introdotto l'indice del benessere che contiene otto indicatori tra cui la vitalità della propria comunità, la scolarità, l'ambiente e la partecipazione democratica. Anche i francesi stanno per lanciare un indice simile che includerà valori quali il progresso economico e la felicità.
Da sempre gli economisti inseguono la quantificazione di sentimenti come la felicità, Adam Smith ne parla nei sui scritti e Jeremy Bentham sostiene che la società debba porsi come obiettivo la felicità delle masse. Nessuno però è ancora riuscito a racchiudere questi sentimenti in un dato perché in realtà nessuno ancora sa cosa rende felice la gente. Esistono però alcuni parametri che gli economisti sono riusciti ad individuare. E tutti sembrano confermare che l'antico detto "la ricchezza non rende felici". I russi arricchitisi dopo la caduta del comunismo ed i peruviani che negli anni Novanta hanno visto il loro reddito quintuplicare ammettono di non essere più felici che in passato, anzi molti sostengono di essere più infelici. Il motivo? L'incertezza che la democrazia in Russia e la crescita economica sostenuta in Perù hanno prodotto, alla radice dunque c'è l'ansietà.
Più che il denaro a renderci felici è una vita tranquilla, tra gli indicatori massimi c'è un matrimonio stabile, la buona salute ed un reddito sufficiente per condurre una vita comoda. Il divorzio e soprattutto la disoccupazione sono le cause principali dell'infelicità. Ma mentre dal primo ci si riprende senza un lavoro non è possibile superare la depressione.
Anche l'età gioca la sua parte, si diventa progressivamente più infelici fino ai 40 anni e si riprende ad essere felici intorno ai 50 e lo si è sempre di più man mano che si invecchia.
Esistono poi fattori irrazionali legati al condizionamento della società che influenzano la felicità. Dall'inizio della recessione, e quindi dai primi mesi del 2008, gli americani sono stati progressivamente più infelici seguendo l'andamento negativo del Dow Jones. Quando questo ha smesso di scendere la gente è tornata ad essere felice, eppure l'economia non è migliorata anzi la recessione è peggiorata. I media e la narrazione dei politici sulla crisi avevano legato il suo andamento a quello degli indici di borsa.
Sempre negli Stati Uniti le disuguaglianze di reddito sono fonte di preoccupazione per i ricchi che hanno idee di sinistra, ma non per tutti gli altri che invece sono certi che un giorno saranno i nuovi Bill Gates, un sogno pressoché irrealizzabile.
Fonte articolo 'Il Caffé'
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Da sempre gli economisti inseguono la quantificazione di sentimenti come la felicità, Adam Smith ne parla nei sui scritti e Jeremy Bentham sostiene che la società debba porsi come obiettivo la felicità delle masse. Nessuno però è ancora riuscito a racchiudere questi sentimenti in un dato perché in realtà nessuno ancora sa cosa rende felice la gente. Esistono però alcuni parametri che gli economisti sono riusciti ad individuare. E tutti sembrano confermare che l'antico detto "la ricchezza non rende felici". I russi arricchitisi dopo la caduta del comunismo ed i peruviani che negli anni Novanta hanno visto il loro reddito quintuplicare ammettono di non essere più felici che in passato, anzi molti sostengono di essere più infelici. Il motivo? L'incertezza che la democrazia in Russia e la crescita economica sostenuta in Perù hanno prodotto, alla radice dunque c'è l'ansietà.
Più che il denaro a renderci felici è una vita tranquilla, tra gli indicatori massimi c'è un matrimonio stabile, la buona salute ed un reddito sufficiente per condurre una vita comoda. Il divorzio e soprattutto la disoccupazione sono le cause principali dell'infelicità. Ma mentre dal primo ci si riprende senza un lavoro non è possibile superare la depressione.
Anche l'età gioca la sua parte, si diventa progressivamente più infelici fino ai 40 anni e si riprende ad essere felici intorno ai 50 e lo si è sempre di più man mano che si invecchia.
Esistono poi fattori irrazionali legati al condizionamento della società che influenzano la felicità. Dall'inizio della recessione, e quindi dai primi mesi del 2008, gli americani sono stati progressivamente più infelici seguendo l'andamento negativo del Dow Jones. Quando questo ha smesso di scendere la gente è tornata ad essere felice, eppure l'economia non è migliorata anzi la recessione è peggiorata. I media e la narrazione dei politici sulla crisi avevano legato il suo andamento a quello degli indici di borsa.
Sempre negli Stati Uniti le disuguaglianze di reddito sono fonte di preoccupazione per i ricchi che hanno idee di sinistra, ma non per tutti gli altri che invece sono certi che un giorno saranno i nuovi Bill Gates, un sogno pressoché irrealizzabile.
Fonte articolo 'Il Caffé'
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