Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 6 ottobre 2010
Italia tra farsa e tragedia di Oliviero Beha
vignetta Mauro Biani)
“Italia sì Italia no”, cantavano ormai un secolo fa a Sanremo Elio e le Storie Tese, titolo del brano “La terra dei cachi”. Ebbene, siamo andati molto indietro da allora, riconoscendone un grande merito per la scesa a Berlusconi senza però far torto ai suoi sedicenti avversari. Guardiamoci intorno: un Paese altro che dei cachi, in piena crisi economica ed etica, in un buco nero culturale, con la politica ridotta ad affare personale anche quando si ammanta di gualdrappe valoriali o programmatiche. Ma rimaniamo al punto: di “Italia sì Italia no” è rimasta solo la seconda. Nell’ordine degli ultimi venti giorni: no alla contestazione a Schifani nella Festa del Pd a Torino “perché non stava bene non far parlare la seconda carica dello Stato”, anche se invitarlo e accettare l’invito non pareva formalmente opportuno e comunque di Schifani andava illustrata la sagace biografia piena di ombre. Invece no, solo luci e divieto di contestarlo per farci raccontare “qualcosa di lui in Sicilia”, alla Elio Vittorini. No naturalmente al petardo contro Bonanni, come contro nessuno, che l’autrice sia una figlia di magistrato o una zia di ferroviere. No – e vorrei vedere – agli agguati a Belpietro come a chiunque altro, specie se di genere letale o tendenzialmente tale. No alle scritte evangeliche a Palermo (sarà stata la mafia, come no...) che discutono “questa” Chiesa del Papa, e no agli “I love Milingo” che disturbano perfino nella vetrina di una libreria forse per un eccessivo richiamo esotico. E potrei infilare una serie di no di oggi come di ieri e dell’altro ieri, su alcuni dei quali non transigere, su altri discutere, su altri (quasi) sghignazzare. Ma la domanda è: i sì dove sono e per chi sono? Dov’è finita l’Italia dei cachi positivi di Elio & company, dove rintracciamo una scorza affermativa nel Paese dei divieti? E ancora: la moltitudine di italiani scontenti, deboli, disoccupati, precari, malati o malsanati, distribuiti in tutte le fasce povere e misere di quest’Italia, che deve fare per dire “basta”? Per dire no a qualcosa, a una situazione che li ha trascinati in questo stato, alla mancanza di futuro per inconsistenza del presente e azzeramento del passato? Che devono fare costoro e sono tanti e non necessariamente “di sinistra” (o addirittura di “sinistra onomatopeica”, di quella radicalchic che suona tanto bene come le monete nel taschino), per manifestare il loro dissenso? Perché qualcuno – non necessariamente Elio né le Storie Tese – non ce lo dice con un minimo di faccia e di credibilità? Perché non ci fanno l’elenco chiaro di ciò che “si può fare” per dire basta a un Paese di cachi marciti? Se la politica è questa, chi volete che affidi alla politica la propria protesta o richiesta di dignità/lavoro/identità? Se i ricchi sono sempre più ricchi e in numero sempre più ristretto assediati dai poveri sempre più miseri, come volete che vada a finire bene? È tanto difficile da deglutire il concetto che i “sì” vanno trovati e di corsa perché il Paese non prenda velocità lungo la china del precipizio? E che nel frattempo i “no” vanno addirittura facilitati affinché comunque non si sparpaglino con rischi ancora maggiori? Come può ad esempio Berlusconi, come sempre il migliore di noi, trattare la magistratura così, “infamandola”, senza rendersi conto che sta affossando il Paese che sta governando, indipendentemente dai suoi torti (tanti) e le sue ragioni (che non vanno escluse a priori anche se assai in lontananza)?
P.S. Se questo è catastrofismo, riscuotere i dividendi di un Paese così ridotto come lo chiamate?
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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“Italia sì Italia no”, cantavano ormai un secolo fa a Sanremo Elio e le Storie Tese, titolo del brano “La terra dei cachi”. Ebbene, siamo andati molto indietro da allora, riconoscendone un grande merito per la scesa a Berlusconi senza però far torto ai suoi sedicenti avversari. Guardiamoci intorno: un Paese altro che dei cachi, in piena crisi economica ed etica, in un buco nero culturale, con la politica ridotta ad affare personale anche quando si ammanta di gualdrappe valoriali o programmatiche. Ma rimaniamo al punto: di “Italia sì Italia no” è rimasta solo la seconda. Nell’ordine degli ultimi venti giorni: no alla contestazione a Schifani nella Festa del Pd a Torino “perché non stava bene non far parlare la seconda carica dello Stato”, anche se invitarlo e accettare l’invito non pareva formalmente opportuno e comunque di Schifani andava illustrata la sagace biografia piena di ombre. Invece no, solo luci e divieto di contestarlo per farci raccontare “qualcosa di lui in Sicilia”, alla Elio Vittorini. No naturalmente al petardo contro Bonanni, come contro nessuno, che l’autrice sia una figlia di magistrato o una zia di ferroviere. No – e vorrei vedere – agli agguati a Belpietro come a chiunque altro, specie se di genere letale o tendenzialmente tale. No alle scritte evangeliche a Palermo (sarà stata la mafia, come no...) che discutono “questa” Chiesa del Papa, e no agli “I love Milingo” che disturbano perfino nella vetrina di una libreria forse per un eccessivo richiamo esotico. E potrei infilare una serie di no di oggi come di ieri e dell’altro ieri, su alcuni dei quali non transigere, su altri discutere, su altri (quasi) sghignazzare. Ma la domanda è: i sì dove sono e per chi sono? Dov’è finita l’Italia dei cachi positivi di Elio & company, dove rintracciamo una scorza affermativa nel Paese dei divieti? E ancora: la moltitudine di italiani scontenti, deboli, disoccupati, precari, malati o malsanati, distribuiti in tutte le fasce povere e misere di quest’Italia, che deve fare per dire “basta”? Per dire no a qualcosa, a una situazione che li ha trascinati in questo stato, alla mancanza di futuro per inconsistenza del presente e azzeramento del passato? Che devono fare costoro e sono tanti e non necessariamente “di sinistra” (o addirittura di “sinistra onomatopeica”, di quella radicalchic che suona tanto bene come le monete nel taschino), per manifestare il loro dissenso? Perché qualcuno – non necessariamente Elio né le Storie Tese – non ce lo dice con un minimo di faccia e di credibilità? Perché non ci fanno l’elenco chiaro di ciò che “si può fare” per dire basta a un Paese di cachi marciti? Se la politica è questa, chi volete che affidi alla politica la propria protesta o richiesta di dignità/lavoro/identità? Se i ricchi sono sempre più ricchi e in numero sempre più ristretto assediati dai poveri sempre più miseri, come volete che vada a finire bene? È tanto difficile da deglutire il concetto che i “sì” vanno trovati e di corsa perché il Paese non prenda velocità lungo la china del precipizio? E che nel frattempo i “no” vanno addirittura facilitati affinché comunque non si sparpaglino con rischi ancora maggiori? Come può ad esempio Berlusconi, come sempre il migliore di noi, trattare la magistratura così, “infamandola”, senza rendersi conto che sta affossando il Paese che sta governando, indipendentemente dai suoi torti (tanti) e le sue ragioni (che non vanno escluse a priori anche se assai in lontananza)?
P.S. Se questo è catastrofismo, riscuotere i dividendi di un Paese così ridotto come lo chiamate?
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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