Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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venerdì 23 luglio 2010
Vomito ergo sum di Marco Travaglio
(vignetta Mauro Biani)
In attesa che i nostri accaldati politici e osservatori trovino una risposta al torrido interrogativo “è la nuova Tangentopoli?”, una cosa è certa: le mirabolanti analogie fra gli autogol dei tangentari modello 1992 e quelli dei loro nipotini del 2010. Si difendono con alibi così sgangherati da sembrare confessioni. Quando finì dentro Mario Chiesa, Craxi lo bollò come “mariuolo che getta un’ombra su un partito che a Milano in 50 anni non ha avuto un solo amministratore condannato”. Poi ne acchiapparono qualcun altro, e si corresse un po’: “Nel Psi ci sono tre mele marce su una totalità di persone oneste”. Quando ne acciuffarono a centinaia, pontificò alla Camera: “Qui rubiamo tutti”, salvo poi accusare i giudici di processarlo perché “non potevo non sapere”. Un anno dopo era ad Hammamet, latitante. Ora il suo figlioccio, il piccolo Silvio, gli copia i testi. Scajola e Verdini sono “casi isolati” in un partito “tutto perfetto”. Anche Bossi, quando saltò fuori la tangente Montedison da 200 milioni alla Lega, irrise al “pirla” Patelli, il tesoriere leghista che l’aveva incassata. Furono condannati entrambi, il pirla e il capo. Oggi Belpietro sminuisce la P3 come “la loggia dei tre pirla guidata da Carboni” (saranno contenti gli altri due, Dell’Utri e Verdini). Feltri dà del “pirla” al direttore dell’ospedale di Pavia beccato con le cosche calabre. Berlusconi parla di “quattro sfigati in pensione”, Il Giornale di “millantatori da operetta”, Libero di “bulli di paese”, anzi “da film di Totò”. Il governatore Cappellacci, pilotato da Carboni, se lo dice addirittura da solo: “Sono un babbeo”, pensando così di salvarsi la reputazione. Nel 1987, in una delle Tangentopoline che anticiparono quella grossa, finì dentro per tangenti a Viareggio un tal De Ninno, funzionario Psi; l’indomani Craxi tuonò sull’Avanti!: “La notizia suscita sorpresa e indignazione… De Ninno aveva informato i dirigenti del partito circa la sua posizione, risultando del tutto estraneo alla vicenda”. Ecco, se l’aveva assolto il partito, come si permettevano i giudici di arrestarlo lo stesso? Ora B. sentenzia che Cosentino è innocente perché “ho appurato personalmente la sua totale estraneità ai fatti contestati dai pm”. Un alibi di ferro. Chiesa, quando gli aprirono la cassetta di sicurezza piena di miliardi, disse che erano “i risparmi di mio padre”. Craxi, a proposito dei 50 miliardi sui suoi due esteri, sbottò: “Dopo 40 anni di lavoro, posso contare su qualche risparmio…”. E il giudice Squillante, quando gli trovarono 9 miliardi in Svizzera, riattaccò con i “risparmi di una famiglia numerosa”. Non portò fortuna neanche a lui. Ora Verdini ci riprova: i 2,6 milioni targati Carboni sono “risparmi personali, frutto dei sacrifici miei e della mia famiglia”. Come 18 anni fa, è evaporato il pudore, è svanita la vergogna ed è sparita pure la logica. Altrimenti Cicchitto non direbbe mai: “Su Borsellino è stato commesso un enorme errore giudiziario che dovrebbe far riflettere chi ritiene la magistratura infallibile e i pentiti credibili”. Perché è stato proprio Spatuzza, pentito che il governo ritiene inattendibile al punto da negargli la protezione, a smontare l’errore giudiziario su via D’Amelio, accusandosi di una strage per cui languono all’ergastolo sette innocenti. Quindi, se errore giudiziario vi fu, ne deriva che Spatuzza è credibile: il contrario di quanto vorrebbe dimostrare il povero Cicchitto. Nel ’93 fu arrestato il dc Mongini e, appena confessò le mazzette, fu espulso dal partito perché “con le affermazioni fatte, ha creato sconcerto nella pubblica opinione”. Lui commentò spiritoso: “Non mi cacciano per quel che ho fatto, ma per quel che ho detto”. Tempo dopo, Ferrara dichiarò a MicroMega: “Per fare politica devi essere ricattabile, cioè disponibile a fare fronte comune”. Ora Quagliariello se la prende con i finiani perché vogliono cacciare gli inquisiti: “Chi si scaglia contro i colleghi in difficoltà fa venir meno la solidarietà interna e indebolisce il partito”. Resta da capire la differenza fra un partito e una cosca, ma queste sono sottigliezze.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
link collegati:
Il partito delle nebbie di Livio Pepino
Classe digerente di Marco Travaglio
Toghe verdine di Marco Travaglio
In attesa che i nostri accaldati politici e osservatori trovino una risposta al torrido interrogativo “è la nuova Tangentopoli?”, una cosa è certa: le mirabolanti analogie fra gli autogol dei tangentari modello 1992 e quelli dei loro nipotini del 2010. Si difendono con alibi così sgangherati da sembrare confessioni. Quando finì dentro Mario Chiesa, Craxi lo bollò come “mariuolo che getta un’ombra su un partito che a Milano in 50 anni non ha avuto un solo amministratore condannato”. Poi ne acchiapparono qualcun altro, e si corresse un po’: “Nel Psi ci sono tre mele marce su una totalità di persone oneste”. Quando ne acciuffarono a centinaia, pontificò alla Camera: “Qui rubiamo tutti”, salvo poi accusare i giudici di processarlo perché “non potevo non sapere”. Un anno dopo era ad Hammamet, latitante. Ora il suo figlioccio, il piccolo Silvio, gli copia i testi. Scajola e Verdini sono “casi isolati” in un partito “tutto perfetto”. Anche Bossi, quando saltò fuori la tangente Montedison da 200 milioni alla Lega, irrise al “pirla” Patelli, il tesoriere leghista che l’aveva incassata. Furono condannati entrambi, il pirla e il capo. Oggi Belpietro sminuisce la P3 come “la loggia dei tre pirla guidata da Carboni” (saranno contenti gli altri due, Dell’Utri e Verdini). Feltri dà del “pirla” al direttore dell’ospedale di Pavia beccato con le cosche calabre. Berlusconi parla di “quattro sfigati in pensione”, Il Giornale di “millantatori da operetta”, Libero di “bulli di paese”, anzi “da film di Totò”. Il governatore Cappellacci, pilotato da Carboni, se lo dice addirittura da solo: “Sono un babbeo”, pensando così di salvarsi la reputazione. Nel 1987, in una delle Tangentopoline che anticiparono quella grossa, finì dentro per tangenti a Viareggio un tal De Ninno, funzionario Psi; l’indomani Craxi tuonò sull’Avanti!: “La notizia suscita sorpresa e indignazione… De Ninno aveva informato i dirigenti del partito circa la sua posizione, risultando del tutto estraneo alla vicenda”. Ecco, se l’aveva assolto il partito, come si permettevano i giudici di arrestarlo lo stesso? Ora B. sentenzia che Cosentino è innocente perché “ho appurato personalmente la sua totale estraneità ai fatti contestati dai pm”. Un alibi di ferro. Chiesa, quando gli aprirono la cassetta di sicurezza piena di miliardi, disse che erano “i risparmi di mio padre”. Craxi, a proposito dei 50 miliardi sui suoi due esteri, sbottò: “Dopo 40 anni di lavoro, posso contare su qualche risparmio…”. E il giudice Squillante, quando gli trovarono 9 miliardi in Svizzera, riattaccò con i “risparmi di una famiglia numerosa”. Non portò fortuna neanche a lui. Ora Verdini ci riprova: i 2,6 milioni targati Carboni sono “risparmi personali, frutto dei sacrifici miei e della mia famiglia”. Come 18 anni fa, è evaporato il pudore, è svanita la vergogna ed è sparita pure la logica. Altrimenti Cicchitto non direbbe mai: “Su Borsellino è stato commesso un enorme errore giudiziario che dovrebbe far riflettere chi ritiene la magistratura infallibile e i pentiti credibili”. Perché è stato proprio Spatuzza, pentito che il governo ritiene inattendibile al punto da negargli la protezione, a smontare l’errore giudiziario su via D’Amelio, accusandosi di una strage per cui languono all’ergastolo sette innocenti. Quindi, se errore giudiziario vi fu, ne deriva che Spatuzza è credibile: il contrario di quanto vorrebbe dimostrare il povero Cicchitto. Nel ’93 fu arrestato il dc Mongini e, appena confessò le mazzette, fu espulso dal partito perché “con le affermazioni fatte, ha creato sconcerto nella pubblica opinione”. Lui commentò spiritoso: “Non mi cacciano per quel che ho fatto, ma per quel che ho detto”. Tempo dopo, Ferrara dichiarò a MicroMega: “Per fare politica devi essere ricattabile, cioè disponibile a fare fronte comune”. Ora Quagliariello se la prende con i finiani perché vogliono cacciare gli inquisiti: “Chi si scaglia contro i colleghi in difficoltà fa venir meno la solidarietà interna e indebolisce il partito”. Resta da capire la differenza fra un partito e una cosca, ma queste sono sottigliezze.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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Toghe verdine di Marco Travaglio
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Non so cosa è meglio: togliere, tra le mele marce, quelle più in vista per far finta di fare pulizia, oppure che continui questa solida solidarietà tra malfattori.
RispondiEliminaNel primo caso ho paura che si faccia solo un'operazione di facciata (senza Cosentino il governo è "sano"? Con un nuovo ministro dello sviluppo economico scompare il conflitto di interessi?), nel secondo caso forse si capisce meglio da chi siamo governati, fatta eccezione naturalmente per chi proprio non vuole capire.