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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 16 giugno 2010

UN POPOLO DI CALCIOFILI di Oliviero Beha

(vignetta Mauro Biani)
È un’Italia da buttar via… Ma non quella di Lippi, su quella si può discutere. Il punto è che si discute quasi solo su quella. Se nella situazione di crisi, di rivolta o pre-rivolta sociale, del tutti contro tutti in mancanza di soldi sia in alto, nelle coalizioni politiche e nelle contrapposizioni istituzionali, che in basso, in una base di italiani crocifissi dai problemi, quasi 20 milioni guardano in tv Italia-Paraguay la questione è seria. Andiamo per ordine, per non favorire immancabili equivoci. Si guarda l’Italia per distrarsi, per non disperarsi, per staccare la spina per due ore (anche se l’indotto dura spesso per il resto del tempo), per manifestare appartenenza ai calzoncini o alla calzamaglia di Buffon, in mancanza d’altro… Si guarda l’Italia comunque, anche se non gioca troppo bene, anche se non vince (per ora), anche se si contrappongono intorno alla maglia azzurra e al patriottismo rotondolatrico per lo più “amore” ma anche un po’ di “odio”. Il virgolettato nel secondo caso non riguarda solo Radio Padania, che gioisce per il gol paraguagio. Chissenefrega, se fosse solo quello, è articolo 21 anche gufare contro Cannavaro. È che adesso Radio Padania ha raggiunto Beppe Grillo che quattro anni fa intonava “Forza Ghana”, e quindi anche questa forma di dissenso critico, chiamiamola benevolmente così, ha cambiato di segno ed è entrata nel vortice semiologico delle contraddizioni. Sono segni distinti e riconoscibili. Da strillo dell’anti-politica, secondo la definizione truffaldina dell’accozzaglia di benpensanti che difendono la cricca dei Balducci, siamo alla vox libera dei celti che si oppongono a Cesare e agli antichi romani che li hanno colonizzati. Peccato che oggi governino ormai dappertutto, che siano magna pars di questa politica, che usino bastone e carota per un Paese di cui mangiare i fichi gettando via la buccia. Quindi tifo e controtifo neutralizzati e ficcati nell’imbuto televisivo, naturaliter passivo come scrivono i teorici del mezzo ma che dà l’illusione di partecipazione attiva quando si tratta di celebrare una vittoria (o nel caso ci si accontenta di un pareggio…). Ma chi sono questi 20 milioni di italiani, a destra come a sinistra, come riescono a “staccare” e tra una partita e l’altra che fanno, di cosa parlano, quale priorità hanno…? Temo di saperlo, e ormai da trent’anni mi dibatto in ‘inutili analisi lungo la china di un Paese che rotola ormai per legge fisica, gravitazionale. Con il pallone che per sua natura geometrica rotola meglio e di più. Non sto proponendo lo sciopero del tifo, né mi sfugge quanto sia importante per la Rai fare cassa pubblicitaria su questi Mondiali sperando che così ripiani perdite e si rimetta nel sesto di un’identità culturale, un ruolo sociale e un contratto di servizio se non erro ancora da firmare… Dico semplicemente che non mi consolano i paragoni con gli altri Paesi, il rischio assenteismo in Inghilterra o gli otto mila tifosi greci che si sono lasciati alle spalle il crac e sono volati (hanno nuotato?) fino in Sudafrica in viaggio di istruzione o distrazione. Perché se volete i paragoni allora facciamoli compiutamente con il panem (oggi rapidamente scarseggiante) e i circenses dell’antica Roma, a confermare che siamo sempre allo stesso punto, cioè un po’ peggio. Sì, la democrazia del televoto o quella del telecomando, nel caso del pallone e dell’Italia ai Mondiali con il dito ingessato sul primo canale Rai: ma è normale? È normale che peggiorando le cose non diminuiscano le falangi di spettatori? E sono indipendenti le crisi politiche, economiche, sociali e culturali (con i tagli che affliggono questo flatus vocis della cultura), dall’eventuale crisi dell’Italia di Lippi? E così facendo non si carica quest’ultima di supplenze che in un Paese vicino all’esser civile non dovrebbero esistere? De Rossi è un supplì: lo sa, lo sappiamo? E andrà sempre così?

P.S. Il calcio in questo discorso è il lato più corto del triangolo delle Bermuda, dove stiamo sparendo. Gli altri due sono la tv e la politica.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'

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