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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 16 giugno 2010

La serva è ladra la padrona è cleptomane di Marco Travaglio

C’è qualcosa di peggio dello spettacolo dell’ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis tradotto in manette con altri quattro detenuti al Tribunale del Riesame? Sì, c’è. Sono i commenti dei cosiddetti “garantisti”, che tradiscono un orribile razzismo sociale, perlopiù inconscio: quello che porta lorsignori a scandalizzarsi e a gridare, col pilota automatico, alla “gogna mediatica” solo quando vedono in manette un ricco, un potente, un politico, un imprenditore, insomma un “galantuomo”. Quindi, un intoccabile per definizione perché – diceva Trilussa – “la serva è ladra, la padrona è cleptomane”. A queste scene gli americani sono abituati: nessuno due anni fa si scandalizzò quando l’Fbi fece irruzione nel tempio del capitalismo mondiale, Wall Street, e ne uscì con alcune decine di top manager arrestati per lo scandalo dei mutui subprime che aveva messo in ginocchio l’economia nazionale e internazionale: incolonnati in fila indiana, i polsi legati da laccetti in acciaio, quei signori impomatati nei loro doppipetti pregiati percorsero un lungo tratto di strada prima di essere tradotti dove meritavano di stare: in galera. Un paese scioccato alla vista dei manager delle banche e della finanziarie fallite che uscivano dai loro sontuosi uffici con gli scatoloni pieni di effetti personali, si riscattò con quell’altra scena che testimoniava una capacità di reazione e di riscatto, ma soprattutto di fare pulizia anche ai piani più alti del potere. Quelli dove chi delinque fa più danni di un criminale da strada. Questa è la “tolleranza zero” all’americana. Poi c’è quella all’italiana, una cosa ignobile, che perseguita il drogato, l’immigrato clandestino e il taroccatore di cd (le nostre carceri pullulano di queste temibilissime categorie delinquenziali), ma salta su col ditino alzato ogni qualvolta in manette finisce un colletto bianco che, da solo, fa più danni di centinaia di drogati, immigrati e taroccatori di cd. Nessuno naturalmente vuole sostenere che quella di De Santis (e degli altri quattro: due presunti spacciatori, un presunto ladro, un presunto rapinatore) in manette sia una bella scena. La custodia cautelare prevede che, se necessario per evitare fughe, nuovi reati o probabilissimi inquinamenti delle prove, l’indagato venga privato della libertà prima del giudizio; non che venga pure esibito in manette. E infatti dal 1999 la legge vieta di fotografare o videoriprendere persone ammanettate: se il Tg2, con la scusa paracula di “denunciare lo scandalo” (ma quale?), non avesse trasmesso la scena, vi avrebbero assistito i 3-4 passanti che transitavano dinanzi al Tribunale di Firenze. Non sarebbe cambiato molto, intendiamoci: tutti sanno che De Santis è stato arrestato quattro mesi fa, vederlo o saperlo in manette ha aggiunto granché. E comunque, nella traduzione di detenuti ammanettati in tribunale, non c’è alcuno “scandalo”: è la prassi che si ripete ogni mattina in ogni tribunale per migliaia di detenuti, senza che saltino su il Garante, il Battista, il Mèchato, il Foglio e altri garantisti a targhe alterne (chissà dov’erano due anni fa quando tre rumeni, poi risultati innocenti, furono sbattuti in tv e in prima pagina mentre la polizia di Roma li prendeva per i capelli e li ficcava in una volante e il questore li dipingeva come i mostri dello stupro alla Caffarella). Se i detenuti da trasportare sono più d’uno, le manette sono obbligatorie per legge: come spiega il direttore del carcere, “per le carenze di personale le traduzioni sono sempre collettive”, dunque in vinculis. Non per sete di “gogna”, ma per evitare che qualcuno fugga o si faccia del male. Questa prassi non piace? I parlamentari, così solerti quando devono farsi gli affari propri, impongano per decreto la traduzione dei detenuti in assoluta scioltezza e libertà. Si potrebbe perfino mandarli soli dal carcere in tribunale, in autobus o in taxi, con la raccomandazione di rientrare in cella entro e non oltre le 20. Altrimenti, a letto senza cena.


Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'

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