Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 22 giugno 2010
Il modello Fiat di Lippi e Capello di Alberto Piccinini
Capello, Lippi, Marchionne. In questi giornile quotazioni dei manager italiani vanno giù. Molto giù. L’Inghilterra è stata svegliata ieri dalle parole dell’ex capitano John Terry, degradato a suo tempo da Capello per indegnità morale: «Jt» ha svelato una certa agitazione tra i senatori della squadra, dopo il pareggio contro l’Algeria. Davanti a un inglesissima birretta alcuni giocatori avrebbero deciso di chiedere all’italiano di passare al 4-5-1 schierando l’ala Joe Cole, fin qui tenuta fuori.
Il tabloid Mirror ha preso la palla al balzo e pubblicato lo schedule della nazionale inglese in ritiro, accusando tra il serio e il faceto Capello di «crimini contro i diritti umani». C’è il solito divieto di telefonino a cena (un classico). Le lunghe ore del pomeriggio senza far niente – il ritiro è inaccessibile – con l’unica possibilità di giocare a freccette, a biliardo, o vedere il Mondiale. Le Wag, le mogli dei calciatori, sono rimaste a casa. La formazione comunicata 2 ore prima del match. Per tenere alta la tensione.
Pensare che Capello aveva appena accusato i suoi giocatori di essere «terrorizzati» dal Mondiale; ma il suo proverbiale mascellone» dice tutto sulla sua terrificante idea di calcio. Il 64enne ex calciatore, studi in marketing e management con la benedizione di Berlusconi, è apparso improvvisamente per quel che è: uno psicologo da oratorio, con la mistica del ritiro, già antica negli anni ’60.
Delle capacità manageriali di Lippi si può dire lo stesso. Tanto insistere sul «gruppo», che avrebbe magicamente dovuto cementarsi grazie al crescere dei «nemici esterni» (stampa, politici meglio se leghisti, tifosi scettici in genere), ha partorito due delle partite più miserabili della Nazionale da trent’anni a questa parte. Di fronte all’unica osservazione sensata – dove sono Cassano, Balotelli, Totti, Del Piero? – il ct risponde che non gli manca niente e nessuno. Gli si fa notare che un gruppo di giocatori uguali, intercambiabili, pulitini, timidi, senza un briciolo di insubordinazione in corpo, non basta per vincere una partita. Lui si affida alla cabala del 1982: tre miseri pareggi in qualificazione, un Paolo Rossi, una Coppa del Mondo. Non ci resta che una partita, per verificarlo. Con Capello, Lippi ripete: «Niente paura».Ha paura.
Marchionne che c’entra? Pur con la distanza della metafora, tutto quel che succede attorno a Pomigliano non sembra avere grandi differenze per tattica di squadra e risvolti psicologici rispetto alle gesta dei nostri più accreditati condottieri calcistici. Pretendere alla catena robottini invece che persone in carne e ossa, creare spirito di gruppo evocando nemici (sindacalisti Fiom, polacchi), scagliarsi contro uno sciopero indetto – secondo il Capo – per vedere Italia-Paraguay. Che è il massimo del paradosso. Ieri mattina, in orario non sospetto, sciopero a Termini Imerese contro i sospetti di Marchionne.
Fu il dottor Socrates, calciatore indimenticato del Brasile 1982, a inventare quella che passò alla storia del calcio come la «democrazia corintiana»: l’autogestione dello spogliatoio. Non arriveremo a pronunciare parole impronunciabili, né a chiedere al calcio più di quel che può dare, politicamente parlando. Ma tifare «el Che» Maradona quello sì. Senza rimpianti.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
link collegati:
UN POPOLO DI CALCIOFILI di Oliviero Beha
Il tabloid Mirror ha preso la palla al balzo e pubblicato lo schedule della nazionale inglese in ritiro, accusando tra il serio e il faceto Capello di «crimini contro i diritti umani». C’è il solito divieto di telefonino a cena (un classico). Le lunghe ore del pomeriggio senza far niente – il ritiro è inaccessibile – con l’unica possibilità di giocare a freccette, a biliardo, o vedere il Mondiale. Le Wag, le mogli dei calciatori, sono rimaste a casa. La formazione comunicata 2 ore prima del match. Per tenere alta la tensione.
Pensare che Capello aveva appena accusato i suoi giocatori di essere «terrorizzati» dal Mondiale; ma il suo proverbiale mascellone» dice tutto sulla sua terrificante idea di calcio. Il 64enne ex calciatore, studi in marketing e management con la benedizione di Berlusconi, è apparso improvvisamente per quel che è: uno psicologo da oratorio, con la mistica del ritiro, già antica negli anni ’60.
Delle capacità manageriali di Lippi si può dire lo stesso. Tanto insistere sul «gruppo», che avrebbe magicamente dovuto cementarsi grazie al crescere dei «nemici esterni» (stampa, politici meglio se leghisti, tifosi scettici in genere), ha partorito due delle partite più miserabili della Nazionale da trent’anni a questa parte. Di fronte all’unica osservazione sensata – dove sono Cassano, Balotelli, Totti, Del Piero? – il ct risponde che non gli manca niente e nessuno. Gli si fa notare che un gruppo di giocatori uguali, intercambiabili, pulitini, timidi, senza un briciolo di insubordinazione in corpo, non basta per vincere una partita. Lui si affida alla cabala del 1982: tre miseri pareggi in qualificazione, un Paolo Rossi, una Coppa del Mondo. Non ci resta che una partita, per verificarlo. Con Capello, Lippi ripete: «Niente paura».Ha paura.
Marchionne che c’entra? Pur con la distanza della metafora, tutto quel che succede attorno a Pomigliano non sembra avere grandi differenze per tattica di squadra e risvolti psicologici rispetto alle gesta dei nostri più accreditati condottieri calcistici. Pretendere alla catena robottini invece che persone in carne e ossa, creare spirito di gruppo evocando nemici (sindacalisti Fiom, polacchi), scagliarsi contro uno sciopero indetto – secondo il Capo – per vedere Italia-Paraguay. Che è il massimo del paradosso. Ieri mattina, in orario non sospetto, sciopero a Termini Imerese contro i sospetti di Marchionne.
Fu il dottor Socrates, calciatore indimenticato del Brasile 1982, a inventare quella che passò alla storia del calcio come la «democrazia corintiana»: l’autogestione dello spogliatoio. Non arriveremo a pronunciare parole impronunciabili, né a chiedere al calcio più di quel che può dare, politicamente parlando. Ma tifare «el Che» Maradona quello sì. Senza rimpianti.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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UN POPOLO DI CALCIOFILI di Oliviero Beha
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