Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 10 maggio 2010
Bondi scappa, c’è Draquila di Roberto Silvestri
Polemiche, anche nella maggioranza, per la decisione del ministro Bondi di saltare Cannes 63 per non incrociare Draquila, che non sarebbe un documentario d’arte ma, secondo il ministro- critico «una pellicola di propaganda». L’addolorato (e già semi-querelato dal governo) film indipendente di Sabina Guzzanti, sull’immane tragedia di L’Aquila e contro squali e corruttori, «offenderebbe la verità e l'intero popolo italiano». Critiche al ministro da parte di cineasti, opposizione, finiani e Jack Lang. Ma questo attacco è solo l’ultimo atto del governo contro il nostro cinema critico e tutto il mondo della cultura.
Il cinema italiano e il mondo della cultura (enti lirico-sinfonici, teatro, danza, tv...) è in pre-agitazione. E sarebbe ora che si ribellasse con forza contro i «riflessi autoritari» (li chiama Veltroni) crescenti. Comunque, poco a poco, la cultura sta surriscaldando la scena politica, provocando il governo a menar colpi bassi e goffi alla Totti, la Brembilla a aizzare gli avvocati e l’opposizione a apire di che si parla. «Smantellamento della cultura », sintetizza Vita (Pd), «vietare tutto», secondo Giulietti. Ma Bersani non simuove. Cosa è in gioco?
1. La libertà di espressione.
2. Il rispetto e la tutela della produzione artistica, lavoro non meno usurante e a tempo intero, di qualunque altro, anche se il finish, la performance virtuosa, possa apparire un flash.
3. L’innovazione della macchina produttiva, di cui l’invenzione estetica, lo dice la parola stessa, è l’anima. Se non c’è ricerca avanzata non c’è mercato non c’è lavoro non c’è consumo non c’è profitto.
4. Lo smantellamento del luogo comune: la cultura è assistita troppo: ma 1 euro elargito, se non altro in tasse, ne frutta il doppio e sarebbe il quintuplo, se fosse aiutata come altrove.
5.«La corruzione» e altre criminalità non sono mai problemi di chi le denuncia, ma di chi le pratica. Così. Dopo le cordate ministeriali di Bertolaso contro i film che infangherebbero la patria (lui & Spa), con tanto di processo mediatico e «esecuzione» in mondovisione dalla costa azzurra. E le minacce del’altissimo prima contro Saviano «l’imbrattatore» e poi contro una leggenda vivente del teatro, Ascanio Celestini, colpevole di pensare, e dunque imitare su Rai3, l’eretico Luttazzi, che al confino spetta Dandini, il ministro dei beni culturali Bondi annuncia la ferale notizia. Andò bene ad Andreotti la battuta arrogante e farsesca dei panni sporchi che si lavano in casa. Perché a lui no? Ha così declinato, offeso, l’invito a partecipare al prossimo festival di Cannes. Perchè? Qualcuno l’ha invitato (forse Letta-Medusa)? Perché a differenza di Luca di Montezemolo non è un cinephile? O il più fedele amico del premier è indignato da Draquila, colpevole di far propaganda, «offendere la verità e l’intero popolo italiano», o come dice il genio della protezione civile: «racconta una sola verità» (ma fosse quella giusta)? O ha paura ormai della torta in faccia, dopo che Jack Lang, emissario speciale di Sarkozy, lo definisce «settario, puerile, infantile, capriccioso» e le sue parole: «incomprensibili per un ministro» e la sua concezione della libertà strana.
Sappiamo che Bondi teme il cinema italiano che piace all’estero, e ama solo quello, apologetico e encomiastico, che racconta all’intero popolo italiano (il Pdl, esclusi i finiani?) «meno male che Silvio c’è». Come ha spiegato già a Locarno 2009 e l’altro ieri, rifiutando di rendere omaggio ai 4 premi David più adorati dalla critica mondiale, La bocca del lupo di Marcello, Vincere di Bellocchio, Tarantino (e Sergio Corbucci). E credo stia maturando anche una viscerale sindrome anti-Cannes perché sulla Croisette bivaccano film faziosi che disonorano non solo gli italiani (e non ha visto ancora Frammartino!) ma perfino i cugini cristiani francesi, descritti come un covo di fetenti tagliagola nei talentuosi Robin Hood di Ridley Scott o Fuori dalla legge di Bouchareb, senza che Sarkozy batta un ciglio.
Che, lo sapessero Gabio Granata (finiano) e Margherita Boniver (Pdl), forse gli darebbero ragione, invece di invitarlo a desistere dai suoi propositi e a «rappresentarci». Comunque politici e ministri andranno a pavoneggiarsi a Venezia, tra il «culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese e leggermente schifoso», come affermò, con coraggio, l’innovativo Brunetta, senza accorgersi che il Lido è anche una trappola.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
Il cinema italiano e il mondo della cultura (enti lirico-sinfonici, teatro, danza, tv...) è in pre-agitazione. E sarebbe ora che si ribellasse con forza contro i «riflessi autoritari» (li chiama Veltroni) crescenti. Comunque, poco a poco, la cultura sta surriscaldando la scena politica, provocando il governo a menar colpi bassi e goffi alla Totti, la Brembilla a aizzare gli avvocati e l’opposizione a apire di che si parla. «Smantellamento della cultura », sintetizza Vita (Pd), «vietare tutto», secondo Giulietti. Ma Bersani non simuove. Cosa è in gioco?
1. La libertà di espressione.
2. Il rispetto e la tutela della produzione artistica, lavoro non meno usurante e a tempo intero, di qualunque altro, anche se il finish, la performance virtuosa, possa apparire un flash.
3. L’innovazione della macchina produttiva, di cui l’invenzione estetica, lo dice la parola stessa, è l’anima. Se non c’è ricerca avanzata non c’è mercato non c’è lavoro non c’è consumo non c’è profitto.
4. Lo smantellamento del luogo comune: la cultura è assistita troppo: ma 1 euro elargito, se non altro in tasse, ne frutta il doppio e sarebbe il quintuplo, se fosse aiutata come altrove.
5.«La corruzione» e altre criminalità non sono mai problemi di chi le denuncia, ma di chi le pratica. Così. Dopo le cordate ministeriali di Bertolaso contro i film che infangherebbero la patria (lui & Spa), con tanto di processo mediatico e «esecuzione» in mondovisione dalla costa azzurra. E le minacce del’altissimo prima contro Saviano «l’imbrattatore» e poi contro una leggenda vivente del teatro, Ascanio Celestini, colpevole di pensare, e dunque imitare su Rai3, l’eretico Luttazzi, che al confino spetta Dandini, il ministro dei beni culturali Bondi annuncia la ferale notizia. Andò bene ad Andreotti la battuta arrogante e farsesca dei panni sporchi che si lavano in casa. Perché a lui no? Ha così declinato, offeso, l’invito a partecipare al prossimo festival di Cannes. Perchè? Qualcuno l’ha invitato (forse Letta-Medusa)? Perché a differenza di Luca di Montezemolo non è un cinephile? O il più fedele amico del premier è indignato da Draquila, colpevole di far propaganda, «offendere la verità e l’intero popolo italiano», o come dice il genio della protezione civile: «racconta una sola verità» (ma fosse quella giusta)? O ha paura ormai della torta in faccia, dopo che Jack Lang, emissario speciale di Sarkozy, lo definisce «settario, puerile, infantile, capriccioso» e le sue parole: «incomprensibili per un ministro» e la sua concezione della libertà strana.
Sappiamo che Bondi teme il cinema italiano che piace all’estero, e ama solo quello, apologetico e encomiastico, che racconta all’intero popolo italiano (il Pdl, esclusi i finiani?) «meno male che Silvio c’è». Come ha spiegato già a Locarno 2009 e l’altro ieri, rifiutando di rendere omaggio ai 4 premi David più adorati dalla critica mondiale, La bocca del lupo di Marcello, Vincere di Bellocchio, Tarantino (e Sergio Corbucci). E credo stia maturando anche una viscerale sindrome anti-Cannes perché sulla Croisette bivaccano film faziosi che disonorano non solo gli italiani (e non ha visto ancora Frammartino!) ma perfino i cugini cristiani francesi, descritti come un covo di fetenti tagliagola nei talentuosi Robin Hood di Ridley Scott o Fuori dalla legge di Bouchareb, senza che Sarkozy batta un ciglio.
Che, lo sapessero Gabio Granata (finiano) e Margherita Boniver (Pdl), forse gli darebbero ragione, invece di invitarlo a desistere dai suoi propositi e a «rappresentarci». Comunque politici e ministri andranno a pavoneggiarsi a Venezia, tra il «culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese e leggermente schifoso», come affermò, con coraggio, l’innovativo Brunetta, senza accorgersi che il Lido è anche una trappola.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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