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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 26 marzo 2010

Prova d’amore per la democrazia di Roberto Natale

La Piazza del Popolo stracolma del 3 ottobre ha avuto ieri sera decine di repliche: col Paladozza di Bologna si sono collegate quasi 200 città. In occasione dell’iniziativa romana, i censori dissero che ci si ritrovava soltanto per Repubblica e l’Unità. Ieri hanno voluto vedere solo un «Santoroday ». Non li sfiora l’idea che la partecipazione sia così alta perché in molti avvertono che in gioco un diritto più grande di ogni singola trincea: è il diritto ad avere informazioni che nell’Italia del populismo mediatico è sentito come un diritto fondamentale.
Un diritto per il quale si è disposti alla mobilitazione. Loro vogliono chiudere, con uno zelo servile che «manco nello Zimbabwe». Ma il bavaglio non regge, e anzi il modo sguaiato con il quale sono state chiuse quattro trasmissioni ha ottenuto l’effetto di moltiplicare l’attenzione e le reazioni. Poveretti, i censori sono stati pure sfortunati: perché mentre loro si affannavano a spiegare la misura con dotte dissertazioni su leggi e su commi, le intercettazioni in arrivo da Trani hanno chiarito limpidamente mandanti e moventi veri della decisione. E hanno dato ulteriore slancio a una battaglia che non solo coinvolge una parte grande dell’opinione pubblica, ma oggi può anche disporre di una rete di comunicazione vasta come mai prima d’ora: radio, tv, siti web che ieri sera hanno allegramente bucherellato il muro. Quegli stessi media che in questi mesi stanno combattendo per evitare di essere messi a tacere dai tagli del governo ai fondi pubblici.
Si stanno finalmente incontrando il nostro diritto-dovere di fornire informazioni e il diritto dei cittadini ad averle, anzi a reclamarle. Anche per questo, come sindacato dei giornalisti abbiamo appoggiato senza riserve tutte le scelte dei professionisti che hanno voluto riaffermare il loro rapporto coi cittadini cittadini, non pubblico passivo) anche a dispetto della Rai: Lucia Annunziata che si è autosospesa pur potendo andare in onda, Giovanni Floris che si è messo a girare l’Italia, Michele Santoro e il gruppo di «Annozero» che si sono inventati la festa di Bologna (con propaggini a Vancouver e La Paz).
Hanno difeso la dignità della Rai e hanno dato una grande dimostrazione di affetto per il servizio pubblico: per la Rai possibile, nel momento in cui la Rai reale dà di sé l’immagine più scadente della sua storia. Hanno giganteggiato, al confronto con viale Mazzini, i gruppi dirigenti delle emittenti private: che hanno dato battaglia contro l’Agcom per contestare la delibera che costringeva le loro tv al silenzio preelettorale, e che dal Tar si sono visti dare ragione.
In Rai la maggioranza del CdA non ha voluto nemmeno simulare un sussulto di dignità. E il Direttore Generale ha avuto la sfrontatezza di sostenere, pur in presenza dei fallimentari ascolti dei programmi che hanno sostituito gli approfondimenti soppressi, che «la Rai non perderà un euro». Fosse anche vero - ma è una balla, la balla di chi sente di dover rendere conto del suo operato solo a una persona - la Rai in questa vicenda ha perso ben più che un euro: ha perso la faccia. Bisognerà ricordarsene, rilanciando l’iniziativa per un servizio pubblico che non sia più così vergognosamente tenuto al laccio del conflitto di interessi.
Ma prima c’è un altro tema sul quale spendere la nuova alleanza tra giornalisti e cittadini: è il tema delle intercettazioni, che le rivelazioni sugli appalti del terremoto e poi le carte pugliesi sulle pressioni all’Agcom e alla Rai (tutte vicende di rilievo pubblico, altro che pettegolezzi privati) hanno di nuovo portato in testa alle ossessioni del presidente del consiglio. Se dopo le regionali, come tutto lascia prevedere, ripartirà l’assalto per trasformare senza modifiche in legge al Senato il pessimo ddl Alfano uscito dalla Camera, ci sarà da ingaggiare una nuova battaglia insieme, all’insegna del diritto di conoscere. Insieme ce la possiamo fare.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
* presidente Fnsi

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