
Bisognerebbe avere le antenne giuste per guardare ai fatti dell’ultima settimana con gli occhi rivolti non ai palazzi del potere e alle guerre fra i poteri, ma alle case delle persone comuni, dove i sentimenti basilari della cittadinanza e dell’appartenenza al vincolo costituzionale sono sottoposti a scosse di intensità non inferiore a quelle degli abitanti dell’Aquila. Si fa presto a invocare il patriottismo costituzionale - caro non da oggi a Giorgio Napolitano uomo politico prima che capo dello Stato - come dover essere del buon cittadino; ma se quel patriottismo viene sistematicamente fatto a pezzi ora da una legge ad personam ora da un decreto ad listam, ora dalla bulimia del potere esecutivo ora da un attacco al contropotere giudiziario, ora dal disprezzo per le forme ora dall’appello sostanzialistico alla volontà del popolo, il risultato è che di quel patriottismo non resta e non può restare in vita niente. E purtroppo questa non è solo cronaca dell’ultima settimana, ma storia degli ultimi vent’anni: a far data non dalla discesa in campo di Berlusconi ma dai referendum di riforma del sistema elettorale. Cominciò allora la lunga marcia non di riforma, come sarebbe stato possibile e forse perfino auspicabile, ma di destabilizzazione e delegittimazione dell’ordinamento costituzionale e della coerenza fra ordinamento costituzionale, sistema politico e legislazione ordinaria, di cui oggi stiamo vivendo l’esito tragico-farsesco. Che non sta solo nell’incertezza in cui versa la competizione elettorale nel Lazio, e nell’arbitrio eversivo con cui Berlusconi e la sua banda pretendono di «salvarla» dalla loro strafottenza delle regole. Sta nel più profondo sentimento di incertezza che questa vicenda semina in tutti rispetto al valore della forma e al senso della
norma, e nell’opposto sentimento di certezza dell’arbitrio che in tutti si insinua a rendere sempre più odiosa, invece che più partecipata, la politica.
E sempre più labile la Costituzione, nonché il suo radicamento nella «lunga e travagliata esperienza storica» che Napolitano si sforza di rammemorare. E che invece rischia davvero di essere archiviata. In un saggio appena uscito (nel volume collettaneo «La democrazia in nove lezioni», Laterza), Michelangelo Bovero, allievo e continuatore di Norberto Bobbio, racchiude le manifestazioni di antipolitica e «antidemocrazia» oggi dilaganti in Italia (e non solo in Italia) nella formula di «fascismo post-moderno»: «che della mescolanzatra repressione violenta e inganno demagogico privilegia (sinora?) il secondo ingrediente; che fomenta l’iper-personalizzazione della politica e talora esprime figure grottesche di potere carismatico; che mira al rafforzamento dell’esecutivo indebolendo vincoli e controlli; che agisce in forme tendenzialmente (ma a volte chiaramente) eversive dell’ordine consolidato nelle architetture costituzionali». Fascismo post-moderno, forse siamo qua. O almeno, alzi la mano chi non ci ha pensato venerdì notte, di fronte a un governo che si àrroga fra gli altri il potere di «corretta interpretazione» delle leggi.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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