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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 2 febbraio 2010

Tu vuoi fa’ l’israeliano di Marco Travaglio

(Vignetta Bandanas)
Se c’è un posto dove il Banana non dovrebbe mettere mai piede è Israele. Invece vi stazionerà per tre giorni, seguito da una carovana di sei ministri e un centinaio di portaborse e veline. Roba da far impallidire la spedizione di Craxi in Cina, quando Andreotti, accompagnato dalla sola moglie, commentò: “Sono stato in Cina con Craxi e i suoi cari”. Prim’ancora di arrivare, il nostro premier da esportazione ha impartito agli israeliani una prima lezione di democrazia, insultando sul quotidiano Haaretz i giornali che lo criticano e i giudici che lo processano. Intervista accolta con vivo stupore dagli israeliani, che in perfetta lingua ebraica hanno commentato: “Embè?”. In quello strano paese i giornali sono abituati a criticare i presidenti del Consiglio e anche della Repubblica, e i giudici a processarli. Il laburista Yitzhak Rabin, negli anni Settanta, si vide stoppare la carriera politica da un’inchiesta per un conto aperto da sua moglie. Più recentemente Ariel Sharon, già fermato da un’indagine sulla guerra in Libano durante la quale non aveva mosso un dito contro la strage falangista di palestinesi a Sabra e Chatila, era tornato sotto inchiesta per finanziamenti illeciti al suo partito. E, dopo di lui, era finito nei guai anche suo figlio. Il penultimo presidente della Repubblica, Moshe Katsav, bersagliato da quella che il Banana chiamerebbe una “campagna di odio” e che invece era una normale campagna di stampa, era finito sotto inchiesta per presunte molestie sessuali ai danni di alcune segretarie. Anche in Israele il capo dello Stato (come in Italia, in Francia, in Grecia e in Portogallo) gode di un particolare status d’immunità, almeno per i delitti legati alle funzioni che esercita come rappresentante della Nazione. Ma Katsav si spogliò dello scudo e si dimise, essendo i reati di cui era accusato chiaramente sganciati dalla carica che ricopriva. Non possedeva, povero lui, giornali e tv da usare per inventare oscuri complotti ai suoi danni. Anche Ehud Olmert, il penultimo presidente del Consiglio di questo paese perennemente in guerra, s’è dimesso due estati fa perché indagato per un piccolo finanziamento elettorale non dichiarato di 150 mila dollari dal magnate americano Morris Talansky (ma anche per aver acquistato sottocosto un appartamento di 300 mq nel quartiere più chic di Gerusalemme: vero Renata Polverini?). Anziché invocare lodi schifani o alfani, accampare legittimi impedimenti, proporre immunità parlamentari o ministeriali, approvare processi brevi cioè morti, minacciare riforme della giustizia, chiedere di essere giudicato “dai miei pari” o dispari, proclamarsi “primus super pares”, portarsi in Parlamento i suoi avvocati, depenalizzare i suoi reati, comprare o ricusare i suoi giudici, tentare la fuga a Brescia, strillare alla persecuzione, Olmert se n’è andato con una pubblica dichiarazione in tv che andrebbe scolpita a caratteri d’oro all’ingresso di Montecitorio, di Palazzo Madama, di Palazzo Chigi e del Quirinale: “Sono fiero di appartenere a uno Stato in cui un premier può essere investigato come un semplice cittadino. Un premier non può essere al di sopra della legge, ma nemmeno al di sotto. Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente, e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro dev’essere giudicato come gli altri. Dimostrerò che le accuse sono infondate da cittadino qualunque”. Ultimamente – come ricorda Giuseppe D’Avanzo su Repubblica – “dopo insistenti inchieste giornalistiche – anche della tv pubblica –, due ministri, Avraham Hirchson (Kadima) e Shlomo Benizri (Shas), sono stati condannati a 5 e 4 anni di carcere per corruzione e riciclaggio”. Cose che accadono nelle altre democrazie, anzi nelle democrazie. Se i giudici processano un politico, salta il politico. In Italia salta il processo o salta il giudice.

Articolo tratto da 'Il Fatto Quotidinano'

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