Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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domenica 31 gennaio 2010
Ultimo appello: CHI STRINGE IL NODO DELLA GIUSTIZIA? di Livio Pepino
Concludendo il suo intervento alla Corte d’appello dell’Aquila, il ministro della giustizia si è sostituito al presidente della Corte nel dichiarare aperto l’anno giudiziario 2010. La gaffe - probabilmente involontaria, certo significativa - è la cifra di questa inaugurazione. Insieme alla orgogliosa esibizione della Costituzione e all’abbandono dell’aula da parte dei magistrati, in tutte le altre sedi distrettuali, al momento dell’intervento del delegato del ministro.
La rappresentazione è plastica: da un lato la pretesa del governo di mettere le mani sulla giustizia, dall’altro la resistenza di quella parte della magistratura non disposta a cedimenti nella difesa dell’assetto costituzionale, dello Stato di diritto, dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
La crisi della giustizia è grave e profonda. Leggere che un giudice, in Italia, apre un’agenda e dice alle parti esterrefatte che la prossima udienza della loro causa si terrà nel 2018 è più che uno scandalo e una vergogna: è la fine della giustizia, con trasformazione dei giudici in calendari parlanti. Ma denunciare questo scandalo è una inutile ipocrisia se non se ne individuano le ragioni e i rimedi.
Il ministro e una certa pubblicistica disinvolta dicono che la colpa è dei magistrati che lavorano poco e male e del Consiglio superiore che, invece di pensare alle sorti della giustizia, si preoccupa di tutelare la corporazione.
I dati - quelli europei e quelli dello stesso ministero - raccontano, peraltro, un’altra storia. La storia di una magistratura con indici di produttività nella media (o addirittura sopra la media) europea e di un Csm mai così severo nel censurare cadute e errori dei magistrati (come evidenziano le cento condanne di questo triennio e i ben 22 provvedimenti cautelari di sospensione dal servizio o di trasferimento di ufficio). A fronte di questo, c’è una organizzazione giudiziaria (che a norma di Costituzione compete al ministro) letteralmente allo sfascio, con una scopertura degli organici dei magistrati di oltre 1000 unità su 9000, con procure prossime alla
chiusura per mancanza di sostituti, con un personale amministrativo ridotto (con un decreto del Presidente del Consiglio del dicembre 2008) di oltre 3600 unità.
Ciò che sta accadendo è quanto diceva - con ruvida chiarezza e maggior sincerità - l’ex guardasigilli Castelli: il governo non intende impiegare risorse per far funzionare un sistema giudiziario di cui non si fida...
Sta qui, a ben guardare, il nocciolo duro della questione giustizia di questo inizio di 2010. Assieme a una aggressione senza precedenti alla giurisdizione. Alla giurisdizione, sottolineo, e non alla magistratura (pur se essa si manifesta anche con attacchi personali ai singoli magistrati, colpevoli, magari, di indossare calzini azzurri o di aspettare disciplinatamente il proprio turno dal barbiere...).
Una aggressione alla giurisdizione che si sostanzia nel rifiuto della sua stessa funzione, con l’affermazione che il vincolo della legge e delle regole è superato dal consenso e dal voto. Le due cose si tengono l’una con l’altra. Se non si scioglie il nodo, per la giustizia, non sarà un bel 2010.
Articolo e foto tratti da 'Il Manifesto'
La rappresentazione è plastica: da un lato la pretesa del governo di mettere le mani sulla giustizia, dall’altro la resistenza di quella parte della magistratura non disposta a cedimenti nella difesa dell’assetto costituzionale, dello Stato di diritto, dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
La crisi della giustizia è grave e profonda. Leggere che un giudice, in Italia, apre un’agenda e dice alle parti esterrefatte che la prossima udienza della loro causa si terrà nel 2018 è più che uno scandalo e una vergogna: è la fine della giustizia, con trasformazione dei giudici in calendari parlanti. Ma denunciare questo scandalo è una inutile ipocrisia se non se ne individuano le ragioni e i rimedi.
Il ministro e una certa pubblicistica disinvolta dicono che la colpa è dei magistrati che lavorano poco e male e del Consiglio superiore che, invece di pensare alle sorti della giustizia, si preoccupa di tutelare la corporazione.
I dati - quelli europei e quelli dello stesso ministero - raccontano, peraltro, un’altra storia. La storia di una magistratura con indici di produttività nella media (o addirittura sopra la media) europea e di un Csm mai così severo nel censurare cadute e errori dei magistrati (come evidenziano le cento condanne di questo triennio e i ben 22 provvedimenti cautelari di sospensione dal servizio o di trasferimento di ufficio). A fronte di questo, c’è una organizzazione giudiziaria (che a norma di Costituzione compete al ministro) letteralmente allo sfascio, con una scopertura degli organici dei magistrati di oltre 1000 unità su 9000, con procure prossime alla
chiusura per mancanza di sostituti, con un personale amministrativo ridotto (con un decreto del Presidente del Consiglio del dicembre 2008) di oltre 3600 unità.
Ciò che sta accadendo è quanto diceva - con ruvida chiarezza e maggior sincerità - l’ex guardasigilli Castelli: il governo non intende impiegare risorse per far funzionare un sistema giudiziario di cui non si fida...
Sta qui, a ben guardare, il nocciolo duro della questione giustizia di questo inizio di 2010. Assieme a una aggressione senza precedenti alla giurisdizione. Alla giurisdizione, sottolineo, e non alla magistratura (pur se essa si manifesta anche con attacchi personali ai singoli magistrati, colpevoli, magari, di indossare calzini azzurri o di aspettare disciplinatamente il proprio turno dal barbiere...).
Una aggressione alla giurisdizione che si sostanzia nel rifiuto della sua stessa funzione, con l’affermazione che il vincolo della legge e delle regole è superato dal consenso e dal voto. Le due cose si tengono l’una con l’altra. Se non si scioglie il nodo, per la giustizia, non sarà un bel 2010.
Articolo e foto tratti da 'Il Manifesto'
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