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sabato 30 gennaio 2010
ANTIMAFIE: Chi sono i veri delinquenti? di Carmine Fotia
Smontato il set dell’ennesima rappresentazione, cosa resta della formidabile strategia antimafia annunciata dal governo a Reggio Calabria? Anzitutto la dichiarazione sull’immigrazione, non a caso resa nella stessa sede. Essa contiene un messaggio preciso: la priorità della politica criminale, il male da affrontare con il bisturi, in Italia non è il potere delle mafie che le classifiche degli organismi internazionali mettono al primo posto tra le organizzazioni criminali di tutto il mondo, bensì l’immigrazione clandestina che produce delinquenza.
Non so se il premier si sia reso conto di cosa significhi dire una cosa del genere, a Reggio Calabria, dopo la deportazione degli immigrati da Rosarno. Lo slittamento semantico è chiaro: il problema non sono i boss che prima riducono in schiavitù e poi scacciano i lavoratori immigrati (in maggioranza regolari, per altro); il problema sono gli immigrati, equiparati tout court ai delinquenti.
C’è poi l’annuncio della costituzione dell’Agenzia per la gestione dei beni confiscati ai mafiosi che avrà sede a Reggio Calabria. Bene, direte. Non fosse che il premier stesso ne mina l’efficacia nel momento in cui - per rispondere a chi critica la decisione di mettere all’asta i beni sequestrati qualora non siano stati assegnati entro un certo numero di anni - candidamente dice: «Se i mafiosi li ricompreranno, noi li sequestremo di nuovo». Quindi ammette che, una volta all’asta, i beni torneranno in mano ai mafiosi (chi oserà mettersi in competizione con i loro prestanome?). Non sarebbe più logico non metterli all’asta?
Infine, si proclama come una svolta epocale il fatto che la ‘ndrangheta viene per la prima volta nominata in leggi dello stato. Immaginiamo il terrore dei boss, minacciati da questa terribile offensiva linguistica.
Nello stesso giorno in cui si proclamava la grande offensiva antimafia, la Corte di Cassazione ha giudicato del tutto legittima la richiesta d’arresto per il sottosegretario Cosentino, accusato di legami organici con la Camorra. Il sottosegretario resta saldamente al suo posto.
Oggi, i magistrati protestano contro la politica giudiziaria del governo. Sono gli stessi magistrati che insieme alle forze di polizia conseguono i risultati che il governo proclama come suoi: gli arresti dei latitanti, il sequestro dei beni. Gli stessi magistrati che urlano da mesi che se dovesse passare la legge sulle intercettazioni proposta dal governo (consiglio la lettura di un utilissimo libretto di Antonio Ingroia, «C’era una volta l’intercettazione», edizioni Stampa Alternativa) le indagini antimafia farebbero un balzo indietro di quarant’anni.
Com’è noto i mafiosi di ogni tipo sanno cogliere bene i segnali, il detto e il non detto, la coerenza tra parole e fatti. Soprattutto sanno benissimo capire, come direbbe il commissario Montalbano, quando si sta solo facendo un poco di «scarmazzo».
Articolo tratto da 'Il Manifesto'
Non so se il premier si sia reso conto di cosa significhi dire una cosa del genere, a Reggio Calabria, dopo la deportazione degli immigrati da Rosarno. Lo slittamento semantico è chiaro: il problema non sono i boss che prima riducono in schiavitù e poi scacciano i lavoratori immigrati (in maggioranza regolari, per altro); il problema sono gli immigrati, equiparati tout court ai delinquenti.
C’è poi l’annuncio della costituzione dell’Agenzia per la gestione dei beni confiscati ai mafiosi che avrà sede a Reggio Calabria. Bene, direte. Non fosse che il premier stesso ne mina l’efficacia nel momento in cui - per rispondere a chi critica la decisione di mettere all’asta i beni sequestrati qualora non siano stati assegnati entro un certo numero di anni - candidamente dice: «Se i mafiosi li ricompreranno, noi li sequestremo di nuovo». Quindi ammette che, una volta all’asta, i beni torneranno in mano ai mafiosi (chi oserà mettersi in competizione con i loro prestanome?). Non sarebbe più logico non metterli all’asta?
Infine, si proclama come una svolta epocale il fatto che la ‘ndrangheta viene per la prima volta nominata in leggi dello stato. Immaginiamo il terrore dei boss, minacciati da questa terribile offensiva linguistica.
Nello stesso giorno in cui si proclamava la grande offensiva antimafia, la Corte di Cassazione ha giudicato del tutto legittima la richiesta d’arresto per il sottosegretario Cosentino, accusato di legami organici con la Camorra. Il sottosegretario resta saldamente al suo posto.
Oggi, i magistrati protestano contro la politica giudiziaria del governo. Sono gli stessi magistrati che insieme alle forze di polizia conseguono i risultati che il governo proclama come suoi: gli arresti dei latitanti, il sequestro dei beni. Gli stessi magistrati che urlano da mesi che se dovesse passare la legge sulle intercettazioni proposta dal governo (consiglio la lettura di un utilissimo libretto di Antonio Ingroia, «C’era una volta l’intercettazione», edizioni Stampa Alternativa) le indagini antimafia farebbero un balzo indietro di quarant’anni.
Com’è noto i mafiosi di ogni tipo sanno cogliere bene i segnali, il detto e il non detto, la coerenza tra parole e fatti. Soprattutto sanno benissimo capire, come direbbe il commissario Montalbano, quando si sta solo facendo un poco di «scarmazzo».
Articolo tratto da 'Il Manifesto'
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