Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 9 dicembre 2009
COSE DI COSA NOSTRA di Oliviero Beha
(vignetta bandanas)
È tutto un troiaio”, esclamava spesso toscaneggiando Rodolfo Siviero, nominato da De Gasperi per i suoi meriti nella Resistenza ministro plenipotenziario per il Recupero delle opere d’arte trafugate durante la guerra, operazione che lo rese famoso e insieme disperatamente impotente di fronte alle nequizie di uno Stato in cattivo stato. Ci pensavo ieri guardando la prima pagina di questo giornale, che oltre alla Lega truce anti-Tettamanzi e al summit di Copenaghen sul clima aveva in evidenza tre cose collegabili. I “day after” del popolo viola di San Giovanni, le nefandezze della Finanziaria specificamente orientate sul via libera all’asta per i beni confiscati ai mafiosi, e l’anticipazione di un libro importante, “Il caso Genchi”, il consulente di vent’anni di indagini sulla delinquenza organizzata, da Falcone a De Magistris. Perché collegabili, al di là di un’evidenza solare? Intanto perché il sottofondo del NoB.Day era la protesta contro gli arrangiamenti legislativi del premier, che accelerano e si infittiscono mentre leggete. A questo proposito non sono d’accordo sulla richiesta della Piazza di dimissioni da parte di Berlusconi, che mi pare un passo successivo. Piuttosto, si faccia processare, e in attesa degli sviluppi di Spatuzza e company risponda in aula del caso Mills, invece di scappare a colpi di convocazioni di Cdm e di impegni ad hoc: per rispettare la legge “deve” farsi interrogare, e se ci riesce ovviamente assolvere. L’ha fatto Andreotti, di essere in aula, lo faccia lui. Evitare il giudizio scardina la Costituzione e si pone di fronte all’opinione pubblica italiana e internazionale come un “contumace istituzionale”. Come direbbe Siviero, diventa “tutto un troiaio”. Quale sembra diventare una Finanziaria che lascia correre le aste per i beni confiscati alla mafia, questa sì iniziativa della maggioranza berlusconiana che può far gridare ai favori ai mafiosi, come questo e altri giornali da tempo ripetono. Senonché qualche giorno fa in un incontro a Padova ero proprio a fianco di Genchi. Il quale, tra le tante cose giuste sosteneva anche che non fosse affatto una cattiva idea quella di mettere all’asta i beni mafiosi. Perché? Intanto, perché nel frattempo essi deperiscono e costano comunque molto denaro conservativo allo Stato. Poi perché se i mafiosi si ricomprano i loro beni, “noi glieli risequestriamo”, diceva Genchi. Così li pagano due volte, e nel frattempo il denaro contante riscosso va a finire a Libera di Don Ciotti, alle altre associazioni previste, a tutte le iniziative le cui finalità siano in linea con questo utilizzo dei beni sequestrati e posti all’incanto. Ovviamente in assoluto questo sarebbe a parer mio un ragionamento nient’affatto sbagliato, così come è evidente che la mafia dei colletti bianchi partecipa in carrozza a qualunque asta vuole, in Italia e altrove, e si compra con la liquidità che possiede ciò che le serve. In assoluto, però. Relativamente a questo paese ,il deperimento dei beni confiscati dipende dall’inefficienza del medesimo Stato che poi dovrebbe garantire la ri-confisca dei beni agli eventuali mafiosi che li avessero ricomprati all’asta. Si pensi poi alle lungaggini giudiziarie e amministrative per simili procedure: da diventar matti, oppure da rendere servigi a Cosa Nostra e ai suoi interlocutori politici di qualunque stampo. Per non parlare delle sezioni “deviate” delle forze dell’ordine eventualmente coinvolte. Dunque Genchi ha ragione, quindi ha torto. E Berlusconi va dritto come la locomotiva dell’Alta velocità attraverso quel “troiaio” di cui parlava quel galantuomo di Siviero.
Fonte articolo
È tutto un troiaio”, esclamava spesso toscaneggiando Rodolfo Siviero, nominato da De Gasperi per i suoi meriti nella Resistenza ministro plenipotenziario per il Recupero delle opere d’arte trafugate durante la guerra, operazione che lo rese famoso e insieme disperatamente impotente di fronte alle nequizie di uno Stato in cattivo stato. Ci pensavo ieri guardando la prima pagina di questo giornale, che oltre alla Lega truce anti-Tettamanzi e al summit di Copenaghen sul clima aveva in evidenza tre cose collegabili. I “day after” del popolo viola di San Giovanni, le nefandezze della Finanziaria specificamente orientate sul via libera all’asta per i beni confiscati ai mafiosi, e l’anticipazione di un libro importante, “Il caso Genchi”, il consulente di vent’anni di indagini sulla delinquenza organizzata, da Falcone a De Magistris. Perché collegabili, al di là di un’evidenza solare? Intanto perché il sottofondo del NoB.Day era la protesta contro gli arrangiamenti legislativi del premier, che accelerano e si infittiscono mentre leggete. A questo proposito non sono d’accordo sulla richiesta della Piazza di dimissioni da parte di Berlusconi, che mi pare un passo successivo. Piuttosto, si faccia processare, e in attesa degli sviluppi di Spatuzza e company risponda in aula del caso Mills, invece di scappare a colpi di convocazioni di Cdm e di impegni ad hoc: per rispettare la legge “deve” farsi interrogare, e se ci riesce ovviamente assolvere. L’ha fatto Andreotti, di essere in aula, lo faccia lui. Evitare il giudizio scardina la Costituzione e si pone di fronte all’opinione pubblica italiana e internazionale come un “contumace istituzionale”. Come direbbe Siviero, diventa “tutto un troiaio”. Quale sembra diventare una Finanziaria che lascia correre le aste per i beni confiscati alla mafia, questa sì iniziativa della maggioranza berlusconiana che può far gridare ai favori ai mafiosi, come questo e altri giornali da tempo ripetono. Senonché qualche giorno fa in un incontro a Padova ero proprio a fianco di Genchi. Il quale, tra le tante cose giuste sosteneva anche che non fosse affatto una cattiva idea quella di mettere all’asta i beni mafiosi. Perché? Intanto, perché nel frattempo essi deperiscono e costano comunque molto denaro conservativo allo Stato. Poi perché se i mafiosi si ricomprano i loro beni, “noi glieli risequestriamo”, diceva Genchi. Così li pagano due volte, e nel frattempo il denaro contante riscosso va a finire a Libera di Don Ciotti, alle altre associazioni previste, a tutte le iniziative le cui finalità siano in linea con questo utilizzo dei beni sequestrati e posti all’incanto. Ovviamente in assoluto questo sarebbe a parer mio un ragionamento nient’affatto sbagliato, così come è evidente che la mafia dei colletti bianchi partecipa in carrozza a qualunque asta vuole, in Italia e altrove, e si compra con la liquidità che possiede ciò che le serve. In assoluto, però. Relativamente a questo paese ,il deperimento dei beni confiscati dipende dall’inefficienza del medesimo Stato che poi dovrebbe garantire la ri-confisca dei beni agli eventuali mafiosi che li avessero ricomprati all’asta. Si pensi poi alle lungaggini giudiziarie e amministrative per simili procedure: da diventar matti, oppure da rendere servigi a Cosa Nostra e ai suoi interlocutori politici di qualunque stampo. Per non parlare delle sezioni “deviate” delle forze dell’ordine eventualmente coinvolte. Dunque Genchi ha ragione, quindi ha torto. E Berlusconi va dritto come la locomotiva dell’Alta velocità attraverso quel “troiaio” di cui parlava quel galantuomo di Siviero.
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vedo una scia chimica sull'immagine.....adesso le sponsoriziamo pure.....
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