

I fatti. Lunedì 16 novembre, a poche ore dalla programmata messa in onda, il direttore del Tg de La7, Antonello Piroso, cancella dalla scaletta del settimanale “Reality” l’inchiesta di Silvia Resta, dal titolo La trattativa. Il servizio della collega ricostruisce, a partire dall’ormai arcinoto Papello, la vicenda della trattativa fra Stato e mafia agli inizi degli anni Novanta. Il sindacato interno insorge giustamente: non perché il direttore non possa esercitare il suo diritto di controllo (se mai ci si chiede perché non l’abbia fatto prima, visto che il servizio era pronto dalla serata di domenica?), ma perché i tempi e i modi con cui Piro-so cancella il servizio destano preoccupazione per il rapporto fra autonomia del giornalista, linea editoriale e poteri del direttore. In buona sostanza, il responsabile del Tg de La7 sostiene che “Il servizio non è stato trasmesso perché incompleto e orientato a una ricostruzione di parte di una vicenda così complessa che perfino settori diversi dello Stato ne offrono letture divergenti. Sposare una tesi (per inciso: quella dell’accusa) fa parte di quel giornalismo “militante” che a La7, con l’attuale direzione (sic!), non è mai stato consentito. E fino a quando questa direzione svolgerà il suo mandato, mai lo sarà”.
Nelle parole di Piroso echeggia un logoro teorema tornato prepotentemente di moda: chi tocca certi argomenti (leggi, in questo caso, la vicenda Dell’Utri) è per forza di parte, non vi suona un po’ come le “toghe rosse”?. Ma è la giustificazione addotta per censurare l’inchiesta che è particolarmente pericolosa, perché cerca di ammantarsi di oggettività. Prima di tutto va ricordato che Marcello Dell’Utri, innocente fino all’ultimo grado di giudizio, è però già stato condannato in prima istanza a 9 anni per “concorso esterno in associazione mafiosa”. Si doveva interpellarlo? Per il distorto senso dell’imparzialità di Piroso, sarebbe come se per parlare di un incensurato che, in primo grado viene condannato per un qualsiasi reato, dovessimo per forza sentire l’opinione dell’imputato.
Non è questa l’autonomia. La Carta dei Doveri del giornalista (approvata sia dall’Ordine sia dal sindacato) recita: “Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza e il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla a interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. I direttori sono tenuti a far rispettare questo codice deontologico. E poi non mancano certo a Piroso gli strumenti per correggere eventuali “criticità”, come le ha definite, del servizio di Silvia Resta. O forse le informazioni contenute nell’inchiesta erano false? Non risulta e infatti non le è stato contestato.
Nel delicato equilibrio fra dovere di informare, rispetto della privacy e tutela dell’autonomia della professione, stiamo assistendo a un crescente tentativo di limitare il ruolo del giornalista. Da una parte la debolezza strutturale del settore editoriale (anche radiotelevisivo), dall’altra iniziative legislative come il ddl Alfano sulle intercettazioni. A tutto questo si aggiunge, oggi, il perverso ruolo interpretato da alcuni direttori che, lungi dall’essere garanti della redazione e della loro libertà, si prestano a occultare le notizie o peggio ancora a censurarle una volta impaginate. Su questo, credo, si debba misurare la reale volontà dell’Ordine dei giornalisti di tornare a essere custode della deontologia e della credibilità dell’informazione. A cominciare dalla difesa della collega Silvia Resta e di tutti i giornalisti de La7. (Paolo Butturini-Segretario della Associazione Stampa Romana)
Mafia: niente di personale
di Ca. Te.
Avete capitolo male: Antonello Piroso non ha censurato per servilismo berlusconiano il servizio di Silvia Resta sulla trattativa stato-mafia, previsto all’interno di Reality su La 7. Il direttore voleva soltanto applicare il contraddittorio all’inchiesta, non augurato al nemico cronista nemmeno dalla severissima Agcom per la Rai. Piroso detta le sue correzioni: “Voglio che ogni volta che si cita il nome di Berlusconi, ci sia qualcuno che offra una visione alternativa dei fatti perché non ci si può basare solo su quello che dicono (e sono di parte) i vari Spatuzza, Graviano, Li Gotti, Ingroia e Ciancimino jr, e si chiuda con quanto risulta abbia detto il capitano Ultimo che ha catturato Riina”. E per sigillare definisce “giornalista militante” la Resta. Ah, poi ha accusato il Cdr. Ha ragione Piroso: non è censura. Peggio: dittatura.
Fonte articolo
Nessun commento:
Posta un commento