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di 'Per quel che mi riguarda'

lunedì 16 novembre 2009

IL PATRIMONIALE È POLITICO CONSIGLI DI CORTE di Ida Dominijanni

Noi amiamo la Costituzione. L’amiamo come si ama una moglie un po’ anziana, che magari ha bisogno di qualche restauro, ma non è che per questo dopo aver passato con lei tutta la vita la lasciamo per una ragazza giovane». Sic Rocco Buttiglione ieri mattina a Omnibus, a presidio del giudizio perentorio di Pierferdinando Casini - «una porcheria» - sulla riforma del «processo breve». Che in Buttiglione parlasse la ragione o, com’è più probabile, l’inconscio, paragone migliore non poteva trovare per rendere in sintesi il groviglio di guai in cui Silvio Berlusconi s’è cacciato da quando sua moglie l’ha accusato di frequentare minorenni (’Libero’ non c’è andato più leggero col titolo di ieri: "Silvio cambia letto", riferito in teoria al temporaneo trasloco da palazzo Grazioli a palazzo Chigi). Inutile ripassare in rassegna tutti questi sette lunghi mesi, stiamo all’ultimo atto: la causa di divorzio «con addebito» incombe,mentre la quadra sul processo Mills non si trova. Casini ci va giù più duro di Fini, Fini manda in tv i più duri fra i suoi. Non occorrono i retroscena per intuire che Berlusconi è furente. E non occorre la palla di vetro per dubitare che stavolta perfino il voto di fiducia sulla «riforma della giustizia» sia un espediente a prova di fronda.
Più che furenti, gli house organ del premier sembrano invece frementi. Capiscono perfettamente che il capo vacilla e fanno a gara a chi gli dà il consiglio migliore. A 360 gradi, perché la distinzione fra privato e pubblico, ribadita con tutte le forze finché c’era di mezzo la denuncia politica di Veronica, adesso che c’è di mezzo «l’addebito» nessuno la ribadisce più e tra moglie e marito ci mettono tutti il dito (consigli per il patrimonio: come non farsi turlupinare da una moglie avida). Il meglio però lo danno sul coté politico. L’Elefantino del Foglio ribadisce la sua scommessa «sul lieto fine del Cav.», però comincia a coltivare il dubbio che «dopo una splendida cavalcata di quindici anni ora si sia arrivati alla frutta». E per evitare di arrivare al caffé prova a dare uno scossone al premier, come già in passato quando paventò per lui «un 24 luglio permanente»: mandi al diavolo leggi e leggine, metta all’ordine del giorno l’immunità parlamentare, l’aumento dell’età pensionabile e un’iniezione di brunettismo negli ospedali e a scuola, dopodiché vada a difendersi «spavaldo» ai processi e incassi condanne e prescrizioni; «oppure, su questo programma, si torni al voto». Oppure. Per il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, che quando il gioco si fa duro non perde mai l’occasione di giocare, non c’è nemmeno l’oppure: intervistato sul Giornale manda a dire al premier che alla prima bocciatura in aula del processo breve la smetta di temporeggiare, provochi una crisi inaggiustabile e ci porti d’urgenza alle urne. Cossiga ne dice come al solito di cotte e di crude, ma la più bella è la risposta alla domanda su «l’assedio più violento che Berlusconi abbia mai dovuto fronteggiare », eccola: «Sicuro. Sono venute a mancare perfino delle sponde fondamentali, come quella della famiglia, incrinata da una delicata e dolorosa causa di separazione con addebito, a orologeria». Delicata, dolorosa, a orologeria. Non erano separati, privato e pubblico, personale e politico?

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