Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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venerdì 1 maggio 2009
UN SECOLO DOPO di Gabriele Polo.
Nel settembre 1920, al culmine del «biennio rosso», molte fabbriche italiane erano occupate dagli operai. La rivoluzione bolscevica e la crisi del sistema liberale davano un forte segno politico alle rivendicazioni dei lavoratori che - nello specifico - scioperavano e occupavano perché l’Associazione degli industriali aveva respinto le richieste sindacali di aumentare i salari contro il crescente caro-vita e riconoscere i consigli dei delegati. Il vecchio Giovanni Agnelli, fondatore della
Fiat, nel giro di pochi giorni propose due diverse - e opposte - soluzioni a una lotta che bloccava completamente la produzione. Prima ventilò la possibilità di trasformare la Fiat in una cooperativa: se ne discusse un po’, ma l’idea rimase sospesa nell’aria. Poi si recò da Giovanni Giolitti, primoministro dell’epoca, chiedendogli di liberare in qualche modo la sua fabbrica: il capo del governo gli rispose che a Torino c’era il «Saluzzo cavalleria» che avrebbe potuto agevolmente bombardare la Fiat-centro.
Agnelli si ritrasse spaventato, pensando alla sorte di stabilimento e macchinari. Come finì lo sappiamo: gli operai isolati e sconfitti, Agnelli di nuovo alla sua scrivania, il fascismo alle porte. Nel ’900 la lotta di classe andava così.
Oggi siamo in tutt’altro mondo e il conflitto capitale-lavoro trova altre ipotesi risolutive e diversi esiti. Forse meno cruenti, forse più sottilmente velenosi.
Così, nel pieno di una crisi economica globale e nello sbandamento del sistema politico mondiale, di fronte al crack industriale dei colossi automobilistici Usa, la piccola Fiat si mangia la Chrysler facendone prendere la maggioranza azionaria ai sindacati, offrendo «in cambio» ai lavoratori un salario ridotto, orari più intensi e tagli all’occupazione.
Saranno i fondi pensione della United Auto Workers a gestire licenziamenti, la riduzione del costo del lavoro, la dispersione nel nulla dei precari. Il vecchio
Giovanni Agnelli sarebbe andato in brodo di giuggiole per un simile «soluzione» a una crisi capitalistica e alle sue ricadute sociali.
Curiosamente tutto ciò avviene alla vigilia del PrimoMaggio, festa inventata in Europa nel segno della piena occupazione e della giornata lavorativa di otto ore, ma ispirata a un massacro di lavoratori avvenuto negli Stati uniti. Non si può dire che le condizioni di vita, il peso culturale e politico del lavoro abbiano, nel novello secolo, proseguito la «corsa emancipativa» che gli «inventori» dell’odierna Festa
immaginavano inarrestabile.
L’accordo Fiat-Chrysler ne è un esempio evidente. Ma per capirlo non serve andare così lontano,basta guardarsi intorno.
Come basta non essere ciechi per capire che in quelle condizioni troviamo lo specchio più evidente della vita contemporanea, dei suoi rapporti sociali,
del nostro grado di civiltà. La politica se ne cale poco, se non in campagna elettorale. Quelli che - manifestando o festeggiano - scendono in piazza oggi, ben lo
sanno. Anche se hanno poca voce, provando a ritrovarla. Anche se considerati maleodoranti dal «papi del Consiglio» che, almeno, oggi non ci sarà.
Fonte
Fiat, nel giro di pochi giorni propose due diverse - e opposte - soluzioni a una lotta che bloccava completamente la produzione. Prima ventilò la possibilità di trasformare la Fiat in una cooperativa: se ne discusse un po’, ma l’idea rimase sospesa nell’aria. Poi si recò da Giovanni Giolitti, primoministro dell’epoca, chiedendogli di liberare in qualche modo la sua fabbrica: il capo del governo gli rispose che a Torino c’era il «Saluzzo cavalleria» che avrebbe potuto agevolmente bombardare la Fiat-centro.
Agnelli si ritrasse spaventato, pensando alla sorte di stabilimento e macchinari. Come finì lo sappiamo: gli operai isolati e sconfitti, Agnelli di nuovo alla sua scrivania, il fascismo alle porte. Nel ’900 la lotta di classe andava così.
Oggi siamo in tutt’altro mondo e il conflitto capitale-lavoro trova altre ipotesi risolutive e diversi esiti. Forse meno cruenti, forse più sottilmente velenosi.
Così, nel pieno di una crisi economica globale e nello sbandamento del sistema politico mondiale, di fronte al crack industriale dei colossi automobilistici Usa, la piccola Fiat si mangia la Chrysler facendone prendere la maggioranza azionaria ai sindacati, offrendo «in cambio» ai lavoratori un salario ridotto, orari più intensi e tagli all’occupazione.
Saranno i fondi pensione della United Auto Workers a gestire licenziamenti, la riduzione del costo del lavoro, la dispersione nel nulla dei precari. Il vecchio
Giovanni Agnelli sarebbe andato in brodo di giuggiole per un simile «soluzione» a una crisi capitalistica e alle sue ricadute sociali.
Curiosamente tutto ciò avviene alla vigilia del PrimoMaggio, festa inventata in Europa nel segno della piena occupazione e della giornata lavorativa di otto ore, ma ispirata a un massacro di lavoratori avvenuto negli Stati uniti. Non si può dire che le condizioni di vita, il peso culturale e politico del lavoro abbiano, nel novello secolo, proseguito la «corsa emancipativa» che gli «inventori» dell’odierna Festa
immaginavano inarrestabile.
L’accordo Fiat-Chrysler ne è un esempio evidente. Ma per capirlo non serve andare così lontano,basta guardarsi intorno.
Come basta non essere ciechi per capire che in quelle condizioni troviamo lo specchio più evidente della vita contemporanea, dei suoi rapporti sociali,
del nostro grado di civiltà. La politica se ne cale poco, se non in campagna elettorale. Quelli che - manifestando o festeggiano - scendono in piazza oggi, ben lo
sanno. Anche se hanno poca voce, provando a ritrovarla. Anche se considerati maleodoranti dal «papi del Consiglio» che, almeno, oggi non ci sarà.
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