Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

La tua opinione é importante, esprimila, lascia un commento ai post.

Prego gentilmente tutti quelli che postano la loro opinione scegliendo l'opzione 'Anonimo' di blogger di firmare il proprio commento. grazie. ros

Clicca per tornare nella Home

Clicca per tornare nella Home
di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 8 maggio 2009

Nabruka M si impicca nel Cie. Oggi avrebbe dovuto essere rimpatriata di Cinzia Gubbini

PONTE GALERIA · Nabruka M. viveva da anni in Italia. Era uscita dal carcere e sperava in un permesso di soggiorno


Non vedeva la Tunisia da trent’anni, Nabruka M. da quando, negli anni ’80, era arrivata in Italia. Ma il suo destino era segnato: un passaporto pronto, nuovo di zecca, e un aereo che l’avrebbe riportata nel suo paese
di origine proprio ieri pomeriggio. Lei ha preferito ammazzarsi. Nabruka, 49 anni, si è impiccata ieri notte nel bagno del centro di espulsione romano di Ponte Galeria, dove era rinchiusa dal 24 aprile. Lo ha fatto con l’unica cosa che aveva a disposizione: la sua maglietta elasticizzata.Gli operatori della Croce rossa italiana l’hanno trovata ieri mattina alle 6,45. In un comunicato il direttore del comitato provinciale della Cri, Claudio Iocchi, parla di un gesto «di cui nessuno
aveva avuto sentore, nemmeno le sue compagne di stanza. Del resto l'ospite non aveva mai dato segnali in tal senso, nè era stata sottoposta a qualsivoglia tipo di cure farmacologiche o psicologiche». Nabruka, infatti, era perfettamente cosciente. Era soltanto disperata. Lo raccontano, dall’interno, i detenuti del centro: «Non voleva tornare indietro. Non poteva crederci. Diceva che nessuno l’aspettava e che non aveva
più nulla lì. E si vergognava di quello che aveva fatto. Aveva paura di come sarebbe stata accolta». La storia di Nabruka è quella della «clandestina» perfetta, senza permesso di soggiorno e in più con precedenti penali. Di quelli che possono essere rispediti indietro senza tanti complimenti, anche se vivono in Italia da anni. Il suo nome nei registri italiani appare per la prima volta nel 1999, quando grazie alla sanatoria Turco-Napolitano ottiene un permesso di soggiorno. Ma due anni dopo non è in grado di rinnovarlo e arriva la prima espulsione: quindici giorni di tempo per lasciare il territorio italiano. Non lo fa, e nel 2003 viene arrestata la prima volta per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Viene rilasciata e poi le arriva un cumulo di pena di cinque anni, sempre per questioni legate allo spaccio, che sconta interamente nel carcere di Rebibbia. Qui entra in un circuito riabilitativo. Decide di rimettersi in carreggiata. Ai suoi compagni di cella nel cie aveva raccontato di avere «prospettive di lavoro». E’ tanto vero che all’ufficio
stranieri della questura di Roma risulta un’istanza di rinnovo per il permesso di soggiorno, presentato quando è stata scarcerata, a marzo di quest’anno. Ma Nabruka non conosce le leggi italiane. Per quelli come lei non ci sono speranze. E in un contesto come i centri di detenzione tutto può apparire ancora peggiore. «Ormai sono come i carceri, e la detenzione a 180 giorni peggiorerà le cose», dice Angiolo Marroni, il garante per i detenuti del Lazio. «Sono fatti che lasciano sgomenti», ha detto l’assessore al Bilancio della regione Lazio,Luigi Nieri, annunciando un ricorso al Tar dopo che alcune settimane fa gli fu impedito di visitare il centro.
Fonte


Un'altra opportunità di vita, chiedeva Nabruka, un'altra oppurtunità per sentirsi parte di questa società malata che l'ha respinta facendole compiere l'ultimo atto estremo, facendole cercare nella morte una possibilità di libertà. Basta carcere, basta cpt, basta miseria e stenti. Addio Nabruka, l'umanità non fa parte di questo mondo che immoralmente si appropria della vita di esseri umani indifesi e li rende fantasmi.

1 commento:

  1. Addio Nabruka,per ogni essere umano che se ne va come hai fatto tu, ognuno di noi deve sentirsi responsabile. Se non siamo capaci di aiutare le persone più sfortunate di noi,se non siamo capaci di avere leggi che rispettino l'umanità di ciascuno, siamo responsabili. Addio Nabruka, non ti abbiamo saputo difendere, neanche noi siamo degni di vivere.
    Salvina Albanese

    RispondiElimina