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giovedì 28 maggio 2009
LEGGE 40, UNA SENTENZA RIVELATRICE di Sergio Bartolommei e Maurizio Mori
All'annuncio delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale che boccia le basi portanti della Legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, si è prodotta una reazione scomposta da parte dei «guardiani» della stessa. Perché dare ai medici, si dice, l'ultima parola riguardo al numero degli embrioni da produrre, da impiantare e (eventualmente) da congelare, quando i «laicisti» - alle cui posizioni vengono ricondotte le motivazioni della Corte vorrebbero che per il testamento biologico i medici fossero meri esecutori notarili della volontà dei pazienti? L'incoerenza della posizione è palese - dicono. In verità risulterà a chiunque voglia leggere le vicende degli ultimi mesi con animo pacato e sgombro da pregiudizi che l'incoerenza è tutta dalla parte dei sostenitori della Legge 40: minimizzano o negano il ruolo responsabile dei medici all'ingresso degli individui nella vita, e ne esaltano il ruolo esclusivo e discrezionale all'uscita. In merito al testamento biologico essi vorrebbero che la scelta finale spettasse proprio ai medici, o sotto la forma - autoritaria «forte» - di rifiutare anche le volontà del paziente e adottare decisioni proprie, o sotto la forma - autoritaria «blanda» - di invocare una «alleanza terapeutica» tra medico e paziente che lasci comunque al medico l'ultima parola. In merito invece alla procreazione medicamente assistita, i fautori della Legge 40 hanno esautorato di ogni competenza e potere decisionale anche i medici, ridotti a cinghia di trasmissione delle prescrizioni di una legge dettata dall'autorità di un legislatore che, oltre a impancarsi a «etico » (con la difesa dell'embrione come «soggetto di diritto», «uno di noi»), pretende di atteggiarsi anche a esperto ginecologo, imponendo agli stessi medici di non fecondare più di tre ovuli per volta e di impiantare contemporaneamente in un unico atto i tre embrioni così ottenuti, indipendentemente dalle particolarità degli embrioni, dalle condizioni, dall'età e, soprattutto, dalla volontà della donna. Siamo così di fronte a una ulteriore prova del tentativo dei sostenitori dei movimenti per la Vita e dei loro rappresentanti nell'esecutivo che delle parole, dei concetti e della logica si può fare l'uso che si vuole, attribuendo al fronte laico la colpa dell'incoerenza. Incoerenza non c'è affatto nei sostenitori dell'autonomia delle persone all'ingresso e all'uscita dalla vita. Nell'uno e nell'altro caso si sostiene infatti che gli atti medici basano la loro legittimità esclusivamente sul consenso libero e informato dei pazienti, in modo da non imporre loro decisioni non condivise e evitare che in nome di qualche astratta ideologia si infliggano sofferenze gratuite e indesiderate, incompatibili (come dimostra la sentenza della Corte Costituzionale) anche con regole elementari di «buona pratica clinica». Consulta di Bioetica Onlus
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