Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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venerdì 22 maggio 2009
Legge 180, trent'anni di civiltà di Gloria Gaetano
La legge 180, venuta dopo quella sul divorzio e prima della 194, è il prodotto e l’eredità di un’epoca. La perfetta rappresentazione. Non per nulla oggi ci sono segnali di un ripensamento di queste leggi è un gesto politico che tende a cancellare la cultura che queste leggi rappresentano. Secondo Sarkozy ‘Il 68 ha sostituito il dovere con il diritto’, spostando il tasto sull’egoismo’. Quale maggiore senso del dovere di quello che immagina di poter sovvertire i concetti stessi di sanità e malattia, normalità e mostruosità? Ci fu un grande spirito di dedizione perché un gruppo di psichiatri pensasse di far accettare come persone i ‘casi’ che si presentavano, per vedere l’uomo e non il folle, per curarlo invece di cancellarlo, relegarlo o medicarlo e bombardarlo di elettricità. La legge venne approvata nel 78. Era l’anno del delitto Moro, della legge sull’aborto, del delitto Impastato. Terrorismo, mafie e battaglie civili. L’Italia era un paese che riusciva,nonostante tutto, a guardare oltre.
Chiudere fuori l’inferno. Oppure rinchiudendolo dentro; ma comunque questa situazione necessita di una porta, per separare se stessi dai dannati. Eppure c’è un altrove che sta oltre la soglia, un altrove in cui s’incontra anche un altro, proprio quello che ,nell’inferno di Sartre (l’enfer c’est les autres), ci obliga allo sguardo impietoso dell’altro che osserviamo e che ci osserva, che sarà contaminato dalle nostre emozioni e convinzioni, ridotto alla fotografia di una realtà molto molto soggettiva.
Disrtruggendo il pregiudizio manicomiale, il nostro paese rinunciò al controllo sociale favorendo il principio della volontà e della dignità della persona, della sua psiche, che malata o sana, ha un suo stato,che, in quanto stato, può essere transitorio.
Il 13 maggio 1978 si scrisse il finale di una favola triste e dolorosa, piena di mostri e di streghe, di incantesimi e di prigioni. Come ogni favola si conclude con la vittoria del bene, della libertà e dell’amore.
Il cittadino, malato di cancro o di depressione, è e resta un cittadino, una persona, un individuo che come tale merita di essere trattato.
Perché rinchiudere la porta? Dai ghetti per gli appestati ai conventi, alle case della misericordia per gli straccioni e i miserabili della terra, ai manicomi e quindi agli ospedali psichiatrici, l’unico comun denominatore è l’esigenza di allontanare dal restere del mondo l’individuo, che con la sua sola presenza, provochi alla comunità ‘perbene ribrezzo, fastidio, forse contagio.
I manicomi erano istituzioni utili all’ordine costituito, il potere aveva necessità di un luogo sicuro in cui rinchiudere non soltanto il ‘reo’, ma anche che ,nel suo modo di esistere , costituiva per se stessa un rischio e una vergogna.
Ma la legge, questa legge, come uno scudo può proteggere tutti dagli errori che una scienza, con ancora tante domande aperte e troppe incertezze , potrebbe produrre. Nel 1978 la 180 cominciò a svolgere questo ruolo chiudendo per sempre le porte dei manicomi.
Non apriremo quella porta mai più. Siamo tutti fuori da 30 anni, ed è ancora qui, in questa dimensione e con gli str, in uno spazio nuovo: è nel territorio che medici e infermieri dovranno scegliere un nuovo ruolo, non più contenitivo e controllante ma operativo e propositivo, terapeutico, la società non potrà più pensare di risolvere con un muro la diversità non accettata. Per le persone cosiddette ‘malate’ c’è il percorso della de istituzionalizzazione, il senso del tempo personale e sociale, riprendendo in mano la propria vita, la propria identità personale e sociale, per sperimentare la scelta del sonno e del divertimento, dell’impegno e dello svago, dell’igiene personale e della creatività e tutto questo assumerà forma fuori dalle mura.
E’ per questo che gli operatori medici e sociali, insieme con le famiglie dovranno inventarsi 'progetti di vita', percorsi di inserimento, un diverso modo di avvicinare la persona con difficoltà, di proporgli spazi e modi, regole e divertimenti, impegni e tempi di libere attività. Tutto dovrà essere presentato come gradevole e accettabile, diverso da quella vita che li ha feriti e spaventati. La sfida è lanciata. I medici, che in questo caso devono curare diversamente, sono impegnati in un percorso terapeutico più propositivo e alla fine gratificante. Perché nelle persone con disagio psichico, anche nel loro delirio, c’è tanta fantasia, creatività e amore che vanno solo incanalati bene.
Tutti fuori: medici, pazienti, familiari,infermieri, volontari, assistenti,educatori, 'normali', diversi, politici, amministratori. Siamo tutti fuori, fuori come balconi protesi verso la strada a seguire il corso degli eventi, a sopportare le intemperie dei corsi e ricorsi storici. Siamo qui, dopo 30 anni, a parlare di malattia mentale, disagio psichico, follia, siamo una promessa o forse un'utopia per il mondo intero. Da questa posizione privilegiata possiamo solo guardare al nostro futuro, vivere è un processo temporale irreversibile, tornare indietro è impossibile, progettare un ritorno al passato è contro la storia.
Ci resta il futuro e il futuro è adesso. Il disagio psichico è una posizione scomoda, per sua natura ambigua e indefinita, come lo sono i colori dell'alba e del tramonto che si confondono e ci confondono. E ci emozionano. lasciandoci a volte senza fiato per la gioia o per il dolore: un giorno che nasce o un giorno che muore, normalità o diversità, salute o malattia.
E' difficile, ma è possibile. Ci vuole ricerca, passione, attenzione, studio, disponibilità e un pizzico di creatività.
Non è una prova degna di individui civili, evoluti, e capaci? Ne vale la pena. dopodinoiwodpress
Chiudere fuori l’inferno. Oppure rinchiudendolo dentro; ma comunque questa situazione necessita di una porta, per separare se stessi dai dannati. Eppure c’è un altrove che sta oltre la soglia, un altrove in cui s’incontra anche un altro, proprio quello che ,nell’inferno di Sartre (l’enfer c’est les autres), ci obliga allo sguardo impietoso dell’altro che osserviamo e che ci osserva, che sarà contaminato dalle nostre emozioni e convinzioni, ridotto alla fotografia di una realtà molto molto soggettiva.
Disrtruggendo il pregiudizio manicomiale, il nostro paese rinunciò al controllo sociale favorendo il principio della volontà e della dignità della persona, della sua psiche, che malata o sana, ha un suo stato,che, in quanto stato, può essere transitorio.
Il 13 maggio 1978 si scrisse il finale di una favola triste e dolorosa, piena di mostri e di streghe, di incantesimi e di prigioni. Come ogni favola si conclude con la vittoria del bene, della libertà e dell’amore.
Il cittadino, malato di cancro o di depressione, è e resta un cittadino, una persona, un individuo che come tale merita di essere trattato.
Perché rinchiudere la porta? Dai ghetti per gli appestati ai conventi, alle case della misericordia per gli straccioni e i miserabili della terra, ai manicomi e quindi agli ospedali psichiatrici, l’unico comun denominatore è l’esigenza di allontanare dal restere del mondo l’individuo, che con la sua sola presenza, provochi alla comunità ‘perbene ribrezzo, fastidio, forse contagio.
I manicomi erano istituzioni utili all’ordine costituito, il potere aveva necessità di un luogo sicuro in cui rinchiudere non soltanto il ‘reo’, ma anche che ,nel suo modo di esistere , costituiva per se stessa un rischio e una vergogna.
Ma la legge, questa legge, come uno scudo può proteggere tutti dagli errori che una scienza, con ancora tante domande aperte e troppe incertezze , potrebbe produrre. Nel 1978 la 180 cominciò a svolgere questo ruolo chiudendo per sempre le porte dei manicomi.
Non apriremo quella porta mai più. Siamo tutti fuori da 30 anni, ed è ancora qui, in questa dimensione e con gli str, in uno spazio nuovo: è nel territorio che medici e infermieri dovranno scegliere un nuovo ruolo, non più contenitivo e controllante ma operativo e propositivo, terapeutico, la società non potrà più pensare di risolvere con un muro la diversità non accettata. Per le persone cosiddette ‘malate’ c’è il percorso della de istituzionalizzazione, il senso del tempo personale e sociale, riprendendo in mano la propria vita, la propria identità personale e sociale, per sperimentare la scelta del sonno e del divertimento, dell’impegno e dello svago, dell’igiene personale e della creatività e tutto questo assumerà forma fuori dalle mura.
E’ per questo che gli operatori medici e sociali, insieme con le famiglie dovranno inventarsi 'progetti di vita', percorsi di inserimento, un diverso modo di avvicinare la persona con difficoltà, di proporgli spazi e modi, regole e divertimenti, impegni e tempi di libere attività. Tutto dovrà essere presentato come gradevole e accettabile, diverso da quella vita che li ha feriti e spaventati. La sfida è lanciata. I medici, che in questo caso devono curare diversamente, sono impegnati in un percorso terapeutico più propositivo e alla fine gratificante. Perché nelle persone con disagio psichico, anche nel loro delirio, c’è tanta fantasia, creatività e amore che vanno solo incanalati bene.
Tutti fuori: medici, pazienti, familiari,infermieri, volontari, assistenti,educatori, 'normali', diversi, politici, amministratori. Siamo tutti fuori, fuori come balconi protesi verso la strada a seguire il corso degli eventi, a sopportare le intemperie dei corsi e ricorsi storici. Siamo qui, dopo 30 anni, a parlare di malattia mentale, disagio psichico, follia, siamo una promessa o forse un'utopia per il mondo intero. Da questa posizione privilegiata possiamo solo guardare al nostro futuro, vivere è un processo temporale irreversibile, tornare indietro è impossibile, progettare un ritorno al passato è contro la storia.
Ci resta il futuro e il futuro è adesso. Il disagio psichico è una posizione scomoda, per sua natura ambigua e indefinita, come lo sono i colori dell'alba e del tramonto che si confondono e ci confondono. E ci emozionano. lasciandoci a volte senza fiato per la gioia o per il dolore: un giorno che nasce o un giorno che muore, normalità o diversità, salute o malattia.
E' difficile, ma è possibile. Ci vuole ricerca, passione, attenzione, studio, disponibilità e un pizzico di creatività.
Non è una prova degna di individui civili, evoluti, e capaci? Ne vale la pena. dopodinoiwodpress
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