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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 23 settembre 2011

Giustizia alla Milanese di Marco Travaglio

(vignetta Sergio Staino)
Ebbene sì, ci arrendiamo. Ha ragione il Cavalier Patonza: la giustizia italiana è politicizzata. Sentite il colonnello Salvatore Paglino, della Guardia di Finanza, che a Bari indagava su Tarantini per droga, prostituzione e corruzione assieme al pm Giuseppe Scelsi: “Il 26 giugno 2009 il dottor Laudati (appena insediato come procuratore capo, ndr) indisse una riunione... Disse che le indagini avevano creato preoccupazione nelle istituzioni; la sua presenza in loco era stata voluta dal ministro di Giustizia Alfano, al quale aveva garantito una soluzione...; e la situazione era arrivata a un punto di gravità tale da poter produrre effetti negativi sul governo, nonché sulla Gdf”. Paglino verrà fatto addirittura arrestare da Laudati. Ed ecco il racconto del pm Scelsi, subito estromesso dalle indagini: “Laudati disse che era molto amico del ministro della Giustizia (Alfano, ndr) che gli aveva concesso l’onore del tu e, grazie a questo, aveva garantito per me, impedendo l’avvio di un’ispezione; e che era stato mandato a Bari per conto del ministro”. Da allora le indagini si inabissano per due anni e vengono chiuse solo pochi giorni fa, quando la Procura di Napoli scopre che anche Tarantini sa delle presunte “frenate” di Laudati. Questi nega tutto, ma è singolare che sia Paglino (in una relazione di servizio), sia Scelsi (al Csm), sia Tarantini (intercettato) l’accusino di avere sterilizzato l’inchiesta che preoccupava B. Quanti Laudati ci sono negli uffici giudiziari italiani? Parecchi, a giudicare dalle troppe indagini sui potenti che si inabissano o finiscono in archivio. Poi, a politicizzare la giustizia, c’è il Parlamento, pieno di imputati, avvocati e qualche magistrato. Scelsi racconta che l’ex collega Maritati, deputato dalemiano, gli chiese notizie riservate sul coinvolgimento di amici di D’Alema nell’inchiesta. Un po’ quel che faceva l’ex pm Papa sull’altra sponda. Intanto gli onorevoli avvocati si occupano di salvare dalla galera gli onorevoli clienti o compari. E così il Parlamento s’è trasformato in un grado di giudizio aggiuntivo, spesso definitivo. Ieri Marco Milanese, accusato di vendere posti e appalti pubblici in cambio di soldi, gioielli, orologi di gran pregio, auto di lusso, s’è salvato dal carcere grazie al voto di 312 colleghi (compreso il suo), mentre i suoi coindagati sono finiti regolarmente dentro. Era già accaduto a tutti i deputati e senatori (escluso Papa), di destra e di sinistra, raggiunti nell’ultimo quindicennio da mandati di cattura per reati gravissimi. La legge consente alle Camere di negare il via libera all’arresto di loro membri solo in caso di fumus persecutionis, non certo in base a considerazioni politiche o a valutazioni delle prove difformi da quelle date dal giudice. Ma il Parlamento se ne infischia: bypassa a pie’ pari il fumus persecutionis (in effetti mai visto) e salva i compari di casta, anzi di cosca, per solidarietà di partito o di governo. Bossi, che aveva autorizzato l’arresto di Papa, l’ha negato per Milanese “per tenere in piedi il governo”. L’on. avv. Paniz ha avvertito eventuali dissenzienti: “Se arrestano Milanese, domani potrebbe toccare a ciascuno di noi”. La stima della gente per i politici è bassina, ma anche la loro autostima non scherza. Come diceva Woody Allen, “la loro moralità è una tacca sotto quella degli stupratori di bambini”. Infine, a politicizzare la giustizia, ci sono le leggi di tolleranza zero per i poveracci e di tolleranza mille per lorsignori. La Procura di Roma ha appena chiesto il rinvio a giudizio del giovane etiope El Israel, reo di aver spezzato due rametti di un cespuglio cogliendo dei fiori nel parco per la fidanzata e di aver così “danneggiato un oleandro posto a ridosso di una aiuola decorativa, con l’aggravante di aver commesso il fatto su bene esposto alla pubblica fede”. Il mascalzone rischia da 6 mesi a 3 anni di galera. Se Berlusconi, invece di continuare a corrompere, abusare e frodare, si decide a strappare qualche ramo di oleandro in un’aiuola, ce lo leviamo dalle palle.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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