
Ma questa è solo immaginazione sociologica. Più rilevante è il contesto in cui collocare la rivolte inglesi. Un contesto di impoverimento progressivo e tuttavia relativo a una popolazione che ha nei giovani il simbolo più evidente. I tagli al welfare state significano riduzione del numero e della qualità dei servizi sociali. Le tasse scolastiche, aumentate al punto tale che diventa proibitiva l’aspirazione a frequentare l’università, determina un cambiamento delle prospettive di vita futura. Lo stesso si può dire del rapporto con il lavoro. I rivoltosi di Londra non sono solo disoccupati cronici, ma anche precari a tempo indeterminato. E come ha scritto «The guardian» alcuni degli arrestati sono infatti grafici pubblicitari, informatici. Non è certo un caso che l’espressione più usata sia lost generation, la generazione perduta. Un impoverimento, che è cosa diversa dalla povertà assoluta, che ha come contraltare la crescita delle diseguaglianze sociali. Un recente studio sulla forbice dei redditi tra la popolazione attiva inglese presentava un quadro non molto diverso da quello statunitense. Il rapporto tra un salario medio e i redditi di un topmanager è di 1 a 70. È questo il contesto in cui collocare quei riot.
Infine, le misure prese da Cameron per edificare la Big Society sono in perfetta continuità con il credo liberista
imperante nel Regno Unito dai tempi di Margaret Thatcher. Il «New Labour» lo ha solo attenuato, ma non ha certo cambiato di segno all’operato del governo. Il paradosso sta proprio nella riproposizione di un modello di società e di attività economica che ha provocato la crisi economica. Di fronte a tanta feroce pervicacia, la reazione non può che essere altrettanto feroce.
Si potrà discettare sulla violenza cieca e furiosa, ma è come guardare il dito e non la luna. Ed è una luna che interessa non solo il Regno Unito in fiamme, ma tutti i paesi europei. Italia compresa.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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