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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 13 agosto 2011

CRISI ITALIANA - E SE INVECE NON PAGASSIMO IL DEBITO? di Salvatore Cannavò

(vignetta Mauro Biani)
La decisione del governo Berlusconi di anticipare la manovra, rispondendo così ai diktat di Bce e “mercati internazionali” svela le ipocrisie e le litanie dell’ultimo mese: la crisi economica si traduce in quello che era lecito immaginarsi, l’ennesimo “massacro sociale” prodotto dalla corsa sfrenata ai profitti di un capitalismo al palo che non riesce a garantire più né benessere né un futuro degno. Si può certo puntare il dito contro il debito pubblico italiano, il terzo del mondo, ma senza dimenticare due dati. Quel debito c’era anche un mese fa, un anno fa, tre anni fa e non ha prodotto nessun attacco speculativo, nessuna crisi emergenziale. Secondo, quel debito è la misura non solo della dissennatezza della politica italiana degli ultimi trent’anni ma anche di una gigantesca redistribuzione del reddito dai salari, stipendi e pensioni ai profitti delle grandi banche e della società finanziarie internazionali che detengono gran parte del debito italiano. È dunque utile cercare di guardare la sostanza dei problemi.
Negli ultimi due decenni il capitalismo, grazie alla spinta delle politiche portate avanti da governi di centrodestra e centrosinistra, ha cercato di salvare sé stesso e la sua assenza di spinta propulsiva accumulando una valanga di debiti. Gli economisti più avvertiti spiegano bene che la lievitazione di subprime e i milari è servita per compensare l’assenza di investimenti produttivi in grado di tenere alti i profitti. Solo che, a un certo punto, per evitare il collasso del sistema, i governi si sono accollati la mole di questi debiti trasferendoli sui bilanci pubblici. Oggi il conto è presentato a lavoratori e lavoratrici, a giovani precari, a donne e pensionati. Non è un caso se l’unica misura concreta presa dal governo Berlusconi sia quella di anticipare il taglio delle agevolazioni fiscali e assistenziali, cioè le misure che interessano la maggioranza della popolazione, spesso quella che paga le tasse e vive del proprio lavoro.
A questa decisione, “ordinata” dalla Bce, l’opposizione parlamentare non sa cosa rispondere, balbetta frasi incomprensibili oscillanti tra il senso di responsabilità del presidente Napolitano e la necessità di segnalare una diversità che non esiste. Il Parlamento non offrirà risposte né sorprese interessanti visto che si è messo sotto tutela delle banche e della finanza. Anche il sindacato si è voluto incatenare a questa logica, mettendosi sotto la tutela di Confindustria, facendo proprio il dogma del pareggio di bilancio e rilanciando misure come privatizzazioni e riforma del mercato del lavoro.
Cosa hanno prodotto tonnellate di leggi che hanno precarizzato il lavoro oppure le grandi privatizzazioni italiane negli ultimi quindici anni? Nulla. Il pareggio di bilancio in Costituzione, tra l’altro, impicca l’Italia alle variabili della finanza: che succede se una volta approvato un bilancio in pareggio si verifica un rialzo dei tassi di interesse, facendo aumentare la spesa, o se arriva una recessione imprevista? In questo clima misure come la patrimoniale non vengono prese in considerazione da nessuno: la stessa Cgil l’ha proposta qualche mese fa per poi dimenticarsene.
Ma anche sul debito occorre fare una riflessione più seria. Esiste in Europa una corrente di pensiero (vedi il libro Les dettes illégitimes di François Chesnais) che arriva addirittura a proporre il non rimborso a certe condizioni. «L’ingiunzione di pagare il debito – spiega Chesnais – si basa implicitamente su questa idea che il denaro, frutto del risparmio pazientemente accumulato con il duro lavoro, sia stato effettivamente prestato. Questo può essere il caso per i risparmi delle famiglie o dei fondi del sistema di pensione per capitalizzazione. Non è il caso delle banche e degli hedge funds. Quando questi “prestano” agli Stati, comprando buoni del Tesoro aggiudicati dal ministero delle Finanze, lo fanno con somme fittizie, la cui messa a disposizione si basa su una rete di relazioni e di transazioni interbancarie». Un esempio di non pagamento del debito, con ri-negoziazione con i creditori, spiega ancora l’economista francese, è quanto realizzato nel 2007 dal presidente dell’Ecuador Rafael Correa, che in un audit pubblico ha quantificato il debito detenuto da società di speculazione internazionali o dai banchieri nordamericani, i quali sono stati costretti a negoziare con il governo ecuadoregno. Cose da terzo mondo, si dirà, ma la Grecia non ha dimostrato che la situazione in Europa può essere analoga e che quindi il problema non può essere eluso? Anche perché come si può pensare di rientrare da un debito del 120% per Pil senza annientare il nostro Paese?

fonte articolo 'Il Manifesto'
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