
Era il 4 novembre 2010 quando
Giuliano Pisapia ruppe gli indugi e annunciò al corriere.it la sua candidatura alle primarie di Milano per l’aspirante sindaco del centrosinistra. Disse di farlo per “far tornare Milano una città che sorride, che dà case e lavoro, dove l’aria è respirabile e le esigenze di tutti hanno diritto di cittadinanza”. Quando gli domandarono che differenza c’era fra lui e l’architetto-urbanista
Stefano Boeri, candidato ufficiale del Pd,
Pisapia dichiarò: “
Boeri parla molto bene di progetti e di cose; io parlo delle persone e dei loro bisogni, delle loro necessità: su questo ho impegnato tutta la mia vita”. Chissà se immaginava che, di lì a sette mesi, una volta vinte le primarie e poi le comunali, avrebbe nominato proprio Stefano
Boeri, quello che parla molto bene di progetti e molto meno delle persone, ad assessore alla Cultura, Moda, Design ed Expo. Un omonimo dello Stefano
Boeri che aveva seguito il “concept plan” dell’Expo 2015, regolarmente retribuito per il suo incarico professionale? No, proprio lui. Si dirà: almeno
Boeri di Expo se ne intende. Certo, almeno quanto s’intende
Berlusconi di televisioni, visto che ne controlla tre da trent’anni. Il che non è un buon motivo per fargli fare il concessore e il concessionario delle stesse. Ora l’assessore
Boeri deve pronunciarsi su un progetto di Expo fatto (anche) dall’architetto
Boeri. E, guarda un po’, esplode fra il sindaco e il suo assessore un conflitto, solo apparentemente superato ieri, proprio sul destino dei terreni dell’Expo. L’oggetto del contendere è noto (ne abbiamo parlato più volte sul Fatto, con gli articoli di Gianni Barbacetto e con
l’appello al sindaco del cantante Elio): da un lato l’idea tradizionale e speculativa di un’esposizione tutta cemento e asfalto, caldeggiata dalla lobby dei costruttori e subìta passivamente da
Pisapia, nel solco delle decisioni già prese dal duo
Formigoni-
Moratti e dall’amministratore delegato della società Expo 2015, Giuseppe
Sala; dall’altro il progetto, davvero affascinante e innovativo, degli “orti planetari” sostenuto da
Boeri: un gigantesco parco verde, unico al mondo, destinato a ospitare per sempre una rassegna delle “biodiversità” esposte da tutti i paesi ospiti. Chiunque abbia un minimo di sale in zucca, a meno che non si chiami
Cabassi o
Ligresti o non abbia interessi nella mega-colata di cemento del piano
Formigoni-
Moratti, non può che auspicare la seconda soluzione. Ma ecco il paradosso: il principale alfiere della soluzione di gran lunga migliore è proprio l’assessore
Boeri, che aveva collaborato a pensarla e a disegnarla nella Consulta di Architettura dell’Expo, affidandola poi ai professionisti della società che trasformarono il concept plan in masterplan. Cioè:
Boeri ha ragione da vendere a difendere il parco contro il cemento, ma è l’unica persona che non ne dovrebbe parlare. Un paradosso che, è inutile girarci intorno, si chiama “conflitto di interessi” (non di soldi, ma d’immagine e gloria personale). L’altroieri
Boeri ha scritto nella sua bacheca Facebook: “Stasera sono in grande difficoltà. Mi aspetta una giunta su Expo, una giunta in cui credo moltissimo che deve decidere su un accordo di programma che non condivido. Difficile”. Si era pensato che avrebbe rimesso almeno la delega all’Expo. Invece l’ha mantenuta e, pur borbottando, ha votato pure lui, insieme al resto della giunta
Pisapia, l’accordo di programma sulle aree espositive (che fino all’altroieri non condivideva) che è una penosa resa senza condizioni ai poteri forti e alla linea
Formigoni-
Moratti. Linea clamorosamente bocciata dai milanesi non solo alle amministrative, ma anche al referendum comunale sulla destinazione a parco di quelle aree anche dopo la fine dell’Expo. Un mese dopo la cosiddetta “rivoluzione arancione”, sulle speranze di cambiamento dei milanesi cala una doccia gelata. Cambiare la faccia del sindaco è una bella cosa. Uscire dal berlusconismo, che divora la politica tutta, resta un sogno.
fonte articolo e foto 'Il Fatto Quotidiano'
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