Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 3 febbraio 2011
Contro l’articolo 41, Costituzione stravolta di Gaetano Azzariti
(vignetta Alex di Gregorio)
Il governo è in agonia, ma continua a rivoltarsi scompostamente. Fuori tempo massimo tenta di ritrovare nuova energia nell’ideologia neoliberista che era all’origine dei suoi successi “giovanili”. Era questa la grande promessa che avrebbe permesso al berlusconismo di imporsi non solo sul piano dell’immaginario collettivo e del (mal)costume, ma anche sul piano più elevato della storia e delle visioni del mondo. L’ambizione più grande del centro-destra italiano dagli anni ’90 è stata quella di provare ad abbandonare il sistema sociale definito dalla costituzione repubblicana. Un modello costituzionale comune a tutte le democrazie contemporanee europee. La nostra non è mai stata una costituzione «bolscevica» (solo Berlusconi poteva fraintendere), non ha, però, mai permesso una deriva neoliberista. La “forza” della costituzione italiana è in ciò: essere una tavola di valori condivisi da tutti, che si può interpretare secondo indirizzi politici anche molto distanti, ma sempre entro un ambito costituzionale delimitato. Su queste basi, in Italia, è stato possibile il progresso civile e politico. Troppo lungo sarebbe spiegare perché a un certo punto tutto ciò s’è interrotto. Limitiamoci a constatare che dalla generale richiesta di “attuare” la costituzione si è passati ad un’altrettanto generale pretesa di “cambiare” il testo che aveva garantito il progresso in Italia. È noto che tra i protagonisti del cambiamento di prospettiva c’è stata gran parte della sinistra. È stato questo un errore storico dal quale sarà difficile riprendersi. Ma ora interessa parlare d’altro. Interessa qui parlare dell’ondata neoliberista che si è abbattuta tardivamente in Italia. Dopo la rivoluzione thatcheriana e reaganiana, anche in Italia la destra ha provato a imporre il suo neoassolutismo.
Il neoliberismo inteso come un assoluto trascendente, prodotto di un pensiero unico, lo scardinamento della democrazia pluralista per come è stata concepita nella nostra storia contemporanea. Da questo punto di vista era “naturale” che individuasse nella cultura “compromissoria” della costituzione un nemico.
Se si voleva imporre una visione unilaterale che facesse strage dei diritti sociali e dell’organizzazione equilibrata dei poteri, diventava necessario cambiare il carattere complessivo della costituzione vigente. La “grande riforma” e le pulsioni costituenti hanno avuto questo senso profondo. Una consapevole strategia di abbattimento del nostro sistema costituzionale pluralistico che ha avuto il suo apice nella riforma della seconda parte della costituzione approvata dal parlamento dalla maggioranza di centro-destra e respinto dal corpo elettorale nel 2006. Fu quello il più importante tentativo di imporre un’“altra” costituzione, che assumeva il premierato assoluto e il neoliberismo ideologico come suo unico fondamento costituzionale. La costituzione pluralista uscì vincitrice da quello scontro terribile, le concezioni totalitarie neoliberali, espresse da un Berlusconi nel pieno del suo vigore polemico, furono sconfitte. Forse è da quel momento – dal referendum costituzionale del 2006 - che può datarsi la fine del berlusconismo come ideologia, la conclusione della parabola politica del centro-destra. In fondo una fine sul campo più “nobile” di quella postribolare che la cronaca di questi giorni ci racconta.
In tal modo si spiegherebbe anche il fatto - altrimenti incomprensibile – del fallimento politico del governo di centro-destra nell’attuale legislatura: sebbene abbia ottenuto la più ampia maggioranza parlamentare mai registrata in Italia, è nato “morto”, perché privato di ogni reale prospettiva di sviluppo. La crisi economica e l’assenza di ogni alternativa politica hanno fatto il resto. Oggi cominciamo ad accorgercene. Anche se “morto” il centro-destra continua però a governare, e vista l’assenza di strategie alternative “vive” non c’è da stupire.
E così ci riprova, auspicando la riscrittura dell’articolo 41 della nostra costituzione. Il senso “ideologico” complessivo che si vuole assegnare appare chiaro: stravolgere il compromesso costituzionale, modificando l’equilibrio che in
materia d’iniziativa economica ha definito la costituzione pluralista italiana. Si vorrebbe rendere assoluta la libertà degli imprenditori privati e cancellare i contrappesi dell’utilità sociale del rispetto della dignità umana che la nostra
costituzione invece impone. Soprattutto escludere, così come prevede il terzo comma, la possibilità di un coordinamento dell’iniziativa economica pubblica e privata dettata dell’interesse generale della collettività. Eliminare insomma ogni diversa ragione che non sia quella dell’impresa. Un disegno eversore del sistema costituzionale. Un disegno che si pone per questo governo ormai fuori tempo massimo. Non passerà.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Il governo è in agonia, ma continua a rivoltarsi scompostamente. Fuori tempo massimo tenta di ritrovare nuova energia nell’ideologia neoliberista che era all’origine dei suoi successi “giovanili”. Era questa la grande promessa che avrebbe permesso al berlusconismo di imporsi non solo sul piano dell’immaginario collettivo e del (mal)costume, ma anche sul piano più elevato della storia e delle visioni del mondo. L’ambizione più grande del centro-destra italiano dagli anni ’90 è stata quella di provare ad abbandonare il sistema sociale definito dalla costituzione repubblicana. Un modello costituzionale comune a tutte le democrazie contemporanee europee. La nostra non è mai stata una costituzione «bolscevica» (solo Berlusconi poteva fraintendere), non ha, però, mai permesso una deriva neoliberista. La “forza” della costituzione italiana è in ciò: essere una tavola di valori condivisi da tutti, che si può interpretare secondo indirizzi politici anche molto distanti, ma sempre entro un ambito costituzionale delimitato. Su queste basi, in Italia, è stato possibile il progresso civile e politico. Troppo lungo sarebbe spiegare perché a un certo punto tutto ciò s’è interrotto. Limitiamoci a constatare che dalla generale richiesta di “attuare” la costituzione si è passati ad un’altrettanto generale pretesa di “cambiare” il testo che aveva garantito il progresso in Italia. È noto che tra i protagonisti del cambiamento di prospettiva c’è stata gran parte della sinistra. È stato questo un errore storico dal quale sarà difficile riprendersi. Ma ora interessa parlare d’altro. Interessa qui parlare dell’ondata neoliberista che si è abbattuta tardivamente in Italia. Dopo la rivoluzione thatcheriana e reaganiana, anche in Italia la destra ha provato a imporre il suo neoassolutismo.
Il neoliberismo inteso come un assoluto trascendente, prodotto di un pensiero unico, lo scardinamento della democrazia pluralista per come è stata concepita nella nostra storia contemporanea. Da questo punto di vista era “naturale” che individuasse nella cultura “compromissoria” della costituzione un nemico.
Se si voleva imporre una visione unilaterale che facesse strage dei diritti sociali e dell’organizzazione equilibrata dei poteri, diventava necessario cambiare il carattere complessivo della costituzione vigente. La “grande riforma” e le pulsioni costituenti hanno avuto questo senso profondo. Una consapevole strategia di abbattimento del nostro sistema costituzionale pluralistico che ha avuto il suo apice nella riforma della seconda parte della costituzione approvata dal parlamento dalla maggioranza di centro-destra e respinto dal corpo elettorale nel 2006. Fu quello il più importante tentativo di imporre un’“altra” costituzione, che assumeva il premierato assoluto e il neoliberismo ideologico come suo unico fondamento costituzionale. La costituzione pluralista uscì vincitrice da quello scontro terribile, le concezioni totalitarie neoliberali, espresse da un Berlusconi nel pieno del suo vigore polemico, furono sconfitte. Forse è da quel momento – dal referendum costituzionale del 2006 - che può datarsi la fine del berlusconismo come ideologia, la conclusione della parabola politica del centro-destra. In fondo una fine sul campo più “nobile” di quella postribolare che la cronaca di questi giorni ci racconta.
In tal modo si spiegherebbe anche il fatto - altrimenti incomprensibile – del fallimento politico del governo di centro-destra nell’attuale legislatura: sebbene abbia ottenuto la più ampia maggioranza parlamentare mai registrata in Italia, è nato “morto”, perché privato di ogni reale prospettiva di sviluppo. La crisi economica e l’assenza di ogni alternativa politica hanno fatto il resto. Oggi cominciamo ad accorgercene. Anche se “morto” il centro-destra continua però a governare, e vista l’assenza di strategie alternative “vive” non c’è da stupire.
E così ci riprova, auspicando la riscrittura dell’articolo 41 della nostra costituzione. Il senso “ideologico” complessivo che si vuole assegnare appare chiaro: stravolgere il compromesso costituzionale, modificando l’equilibrio che in
materia d’iniziativa economica ha definito la costituzione pluralista italiana. Si vorrebbe rendere assoluta la libertà degli imprenditori privati e cancellare i contrappesi dell’utilità sociale del rispetto della dignità umana che la nostra
costituzione invece impone. Soprattutto escludere, così come prevede il terzo comma, la possibilità di un coordinamento dell’iniziativa economica pubblica e privata dettata dell’interesse generale della collettività. Eliminare insomma ogni diversa ragione che non sia quella dell’impresa. Un disegno eversore del sistema costituzionale. Un disegno che si pone per questo governo ormai fuori tempo massimo. Non passerà.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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