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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 8 febbraio 2011

ALEMANNO VATTENE di Sandro Medici

(vignetta Mauro Biani)
Uno sguardo disperato che ci guarda dalle prime pagine dei quotidiani: una donna rom che urla invano, racchiusa nel suo fotogramma. Ha appena perso i suoi quattro figli. Sono morti bruciati in una baracca. Di domenica sera in una Roma invernale. Li ha uccisi certo la miseria, ma ancor più un’indifferenza a volte anche pietosa ma più spesso crudele, anzi feroce. Ci conviviamo, con queste tragedie. Non lo diciamo a voce alta, ma in fondo lo pensiamo che nelle nostre città sia fisiologico, ogni tanto, assistere a roghi nei campi nomadi, dolenti o dolosi che siano. È un po’ così che si riesce ad andare avanti senza troppi rimorsi. Un soffio freddo di malessere, una puntura di dolore, una chiacchiera contrita. E finita presto l’amarezza, si torna laddove si era rimasti: ai nostri affanni, alle nostre ritmiche, al qui e ora e forse domani. Piccoli moralismi antipatici? Forse. Ma è innegabile che il popolo rom sia un ingombro delle coscienze, prim’ancora che un problema sociale. Ed è esattamente questa la ragione per cui la destra italiana si può permettere di maltrattarlo e perseguitarlo. La debolezza dell’indignazione, l’assenza di proteste, l’esilità delle iniziative di difesa, tutto questo è complementare al rifiuto di una politica di sostegno sociale e di riconoscimento dei diritti umani. Di più, chi oggi fa opera di contrasto alla presenza dei nomadi nei territori riceve larghi consensi in quei territori stessi.
Quel ch’è successo a Roma è esemplare. Il sindaco Alemanno ha vinto le elezioni anche perché ha promesso che ci penserà lui a risolvere il problema degli zingari: basta con questa molesta popolazione che minaccia e infastidisce, andava dicendo nelle piazze. Ebbene, passano tre anni e lo ritroviamo oggi che maledice una non meglio precisata burocrazia che gli impedirebbe di realizzare un ancor meno precisato piano nomadi. Con chi ce l’ha? Con se stesso, c’è da immaginare, visto il suo sguaiato ma inefficace protagonismo. È che in città la condizione dei campi è sensibilmente peggiorata, sia in quelli più o meno autorizzati, sia (a maggior ragione) in quelli spontanei. Nell’attesa di definire un piano per realizzare campi di accoglienza, peraltro militarizzati, il Comune si è accanito nello smantellare e sgomberare, al solo scopo di assecondare gli istinti razzisti. La conseguenza di questa attività muscolare è stata rovinosa: migliaia di persone scacciate dalle loro baracche che vagano in tutta la città alla ricerca di un rifugio. Quando lo trovano, spesso vengono nuovamente sgombrate e nuovamente si mettono a cercare un posto dove accamparsi, in una trasmigrazione feroce per i più deboli, i bambini. Il Campo di Tor Fiscale dove sono morti i quattro bambini era uno di questi insediamenti di risulta, che vanamente il IX Municipio chiedeva di assistere.
Invece di scaricare penosamente le responsabilità, Alemanno dovrebbe con onestà ammettere la sua inconcludenza e riconoscere limiti ed errori delle sue anguste politiche. E andarsene. Se Roma avesse un sindaco migliore, la città sarebbe migliore
anche per i rom.

Fonte articolo 'Il Manifesto'

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1 commento:

  1. Si tanta bella retorica, ma qui bisogna fare i conti della serva, non enunciare tanti bei principi sui quali siamo tutti d'accordo.
    Assistenza, controllo, accoglienza, sostegno sociale, sono cose che COSTANO.
    E visto che la coperta è corta se copri economicamente) un servizio ne scopri un altro.
    Quindi ok, assistiamo i rumeni, poi però non lamentatevi, che so, se le strade sono sporche, o se non si fanno alloggi popolari, ecc. ecc..
    Credo che la saggezza di un bravo e onesto amministratore sia dire: "signori, abbiamo X euro in cassa, vi chiamo a un referendum dove barrare l'iniziativa che vorreste realizzata, le prime 5 le esaudiremo, le altre amen".
    E basta ipocrisie

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