Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 2 dicembre 2010
UNIVERSITAS FUTURA - Quagliariello fa cilecca, firme false pro-Gelmini. I no dei tremila docenti di Eleonora Martini
Certo, anche Gaetano Quagliariello poteva fare di meglio con la sua maggioranza silenziosa. Non che siano pochi, i 16 mila indirizzi email - prelevati chissà dove - divenuti destinatari del super celebrato «appello dei 400 docenti» promosso dalla Fondazione Magna Carta in favore della "riforma" Gelmini. E passi pure che non tutte le adesioni ricevute in cambio e pubblicate sul sito del quotidiano on-line L’occidentale corrispondano a docenti, ricercatori o collaboratori universitari (come risulta dall’elenco completo e aggiornato al 25 novembre del Miur, e denunciato dai 3.100 universitari che hanno firmato l’appello anti-Gelmini di "Universitas futura"). La realtà è che comunque 400 nomi sono davvero pochini per una svolta «epocale» come quella voluta dalla ministra Mariastella che ieri, evidentemente non così sicura della sua maggioranza, ha diffuso una nota ufficiale per ricordare che se non passa la riforma non ci sarà più alcun concorso da ricercatore (le norme scadono a fine anno, spiega il Miur senza dire che il ddl prevede solo contratti a tempo determinato per 8 anni al massimo, poi, in 25mila, tutti a casa), né per ordinari e associati (abrogate le vecchie regole, siamo in vacatio legis), e che saranno «bloccate le risorse per reintegrare gli scatti di stipendio».
Ma quello che proprio non ci si aspettava dalla maggioranza silenziosa dell’azzurrissimo Quagliariello è di trovare in quell’elenco misero misero pure firme di persone dichiaratamente contrarie al ddl appena approvato dalla Camera. È il caso del professor Carlo Cosmelli, fisico della Sapienza di Roma, al quale non è bastato chiedere che il suo nome venisse tolto dall’elenco perché dopo poche ore lo ha visto riapparire e poi di nuovo scomparire ma non senza una nota della Fondazione Magna Carta che lo accusa di «arroganza baronale» sostenendo che un tipo come lui «pare più a suo agio negli uffici della Lubianka che non nel mondo della ricerca di un libero Paese occidentale». Ed è anche il caso del professor Gabriele Bianchi, matematico dell’università di Firenze o della ricercatrice di Siena, Mariarosaria Vergara. C’è troppo silenzio nella maggioranza di Quagliariello per sapere come siano finiti in quell’elenco.
Invece i docenti e ricercatori di "Universitas futura" sono assai poco silenti: da un paio d’anni gli oltre 4 mila iscritti di tutti gli atenei italiani discutono in rete ma non ottengono l’attenzione dei media.
Nemmeno quando in 3.100 firmano un appello al presidente Napolitano per chiedere di fermare un atto che ritengono disastroso e in alcuni punti anticostituzionale, accusando la Crui di «non rappresentare l’università ma solo se stessa». La conferenza dei rettori, infatti, anche se divisa al proprio interno, finora è stata l’unica voce apertamente favorevole alla "riforma".
«Ovvio – spiega Walter Lacarbonara, docente di Scienze delle costruzione aerospaziali alla Sapienza – il ddl rafforza enormemente i poteri dei rettori, ecco perché è necessario un mandato a termine». Nel nuovo modello di governance, infatti, al Senato accademico rimane solo da deliberare sugli aspetti didattici. Tutti gli altri poteri, tutte le questioni strategiche, saranno poste nelle mani solo del Cda, che dovrà necessariamente essere composto anche da membri esterni, un po’ sullo stesso modello delle Asl e delle aziende municipalizzate.
E tutti già sanno che il paragone con i modelli anglosassoni o americani in Italia non regge: «Le forze produttive italiane non hanno la cultura dell’investimento sull’innovazione e sulla ricerca - continua Lacarbonara – diventerà invece semplicemente una poltrona in più per politici».
I motivi di contrarietà alla "riforma" sono molti ma ci sono cose che davvero non vanno giù. Come le nuove forme di reclutamento: il sistema dell’idoneità nazionale acquisita tramite concorsi pubblici, propedeutica per accedere ai concorsi locali banditi dai singoli atenei e, infatti, secondo "Universitas futura", un sistema dispendioso, burocratico e che rafforza le baronie delle commissioni esaminatrici.
Il criterio buono, per loro, è invece quello riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale: il «peer review», una sorta di valutazione di merito generata dall’analisi delle pubblicazioni operata dai colleghi di tutto il mondo. Detto in uno slogan: «Cooptazione, competizione e valutazione». Lo spiega il professor Claudio Procesi, vice presidente dell'International Mathematical Union: «I dipartimenti dovrebbero fare le proprie scelte di politica scientifica quindi, competendo tra di loro, assumere chi desiderano, anche per chiamata diretta. Saranno poi valutati dalla comunità scientifica internazionale». Procesi ammette che «forse è una posizione troppo avventurista per l’Italia che è un paese molto burocratico».
A dimostrarlo è il divieto, introdotto da Gelmini, di lavorare nello stesso ateneo per familiari fino al quarto grado di parentela. Insomma, Marie e Pierre Curie non avrebbero avuto, nell’Italia di Mariastella, nemmeno un soldo o un laboratorio per le scoperte che hanno regalato all’umanità.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Ma quello che proprio non ci si aspettava dalla maggioranza silenziosa dell’azzurrissimo Quagliariello è di trovare in quell’elenco misero misero pure firme di persone dichiaratamente contrarie al ddl appena approvato dalla Camera. È il caso del professor Carlo Cosmelli, fisico della Sapienza di Roma, al quale non è bastato chiedere che il suo nome venisse tolto dall’elenco perché dopo poche ore lo ha visto riapparire e poi di nuovo scomparire ma non senza una nota della Fondazione Magna Carta che lo accusa di «arroganza baronale» sostenendo che un tipo come lui «pare più a suo agio negli uffici della Lubianka che non nel mondo della ricerca di un libero Paese occidentale». Ed è anche il caso del professor Gabriele Bianchi, matematico dell’università di Firenze o della ricercatrice di Siena, Mariarosaria Vergara. C’è troppo silenzio nella maggioranza di Quagliariello per sapere come siano finiti in quell’elenco.
Invece i docenti e ricercatori di "Universitas futura" sono assai poco silenti: da un paio d’anni gli oltre 4 mila iscritti di tutti gli atenei italiani discutono in rete ma non ottengono l’attenzione dei media.
Nemmeno quando in 3.100 firmano un appello al presidente Napolitano per chiedere di fermare un atto che ritengono disastroso e in alcuni punti anticostituzionale, accusando la Crui di «non rappresentare l’università ma solo se stessa». La conferenza dei rettori, infatti, anche se divisa al proprio interno, finora è stata l’unica voce apertamente favorevole alla "riforma".
«Ovvio – spiega Walter Lacarbonara, docente di Scienze delle costruzione aerospaziali alla Sapienza – il ddl rafforza enormemente i poteri dei rettori, ecco perché è necessario un mandato a termine». Nel nuovo modello di governance, infatti, al Senato accademico rimane solo da deliberare sugli aspetti didattici. Tutti gli altri poteri, tutte le questioni strategiche, saranno poste nelle mani solo del Cda, che dovrà necessariamente essere composto anche da membri esterni, un po’ sullo stesso modello delle Asl e delle aziende municipalizzate.
E tutti già sanno che il paragone con i modelli anglosassoni o americani in Italia non regge: «Le forze produttive italiane non hanno la cultura dell’investimento sull’innovazione e sulla ricerca - continua Lacarbonara – diventerà invece semplicemente una poltrona in più per politici».
I motivi di contrarietà alla "riforma" sono molti ma ci sono cose che davvero non vanno giù. Come le nuove forme di reclutamento: il sistema dell’idoneità nazionale acquisita tramite concorsi pubblici, propedeutica per accedere ai concorsi locali banditi dai singoli atenei e, infatti, secondo "Universitas futura", un sistema dispendioso, burocratico e che rafforza le baronie delle commissioni esaminatrici.
Il criterio buono, per loro, è invece quello riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale: il «peer review», una sorta di valutazione di merito generata dall’analisi delle pubblicazioni operata dai colleghi di tutto il mondo. Detto in uno slogan: «Cooptazione, competizione e valutazione». Lo spiega il professor Claudio Procesi, vice presidente dell'International Mathematical Union: «I dipartimenti dovrebbero fare le proprie scelte di politica scientifica quindi, competendo tra di loro, assumere chi desiderano, anche per chiamata diretta. Saranno poi valutati dalla comunità scientifica internazionale». Procesi ammette che «forse è una posizione troppo avventurista per l’Italia che è un paese molto burocratico».
A dimostrarlo è il divieto, introdotto da Gelmini, di lavorare nello stesso ateneo per familiari fino al quarto grado di parentela. Insomma, Marie e Pierre Curie non avrebbero avuto, nell’Italia di Mariastella, nemmeno un soldo o un laboratorio per le scoperte che hanno regalato all’umanità.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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