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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 14 dicembre 2010

Il regno dei morti di Marco Travaglio

Mentre in Senato, cioè nel regno dei morti, il nano bollito arringava stancamente i suoi simili con l’ultima barzelletta del governo dei miracoli, nel regno dei vivi i poliziotti assediavano la villa di Arcore e la Camera dei deputati: purtroppo non per assicurare alla giustizia gli inquilini, ma per contestare il premier e fischiare il ministro Gnazio La Rissa in segno di protesta contro il taglio dei fondi alle forze dell’ordine. Il De Profundis finale, la pietra tombale su 16 anni di propaganda su “sicurezza” e “legge e ordine”. Si attendono ad horas, negli stessi luoghi, manifestazioni di giubilo e gratitudine di ladri, truffatori, rapinatori, stupratori, spacciatori graziati dall’ennesimo indulto mascherato: quello varato l’altro giorno dalla maggioranza alla chetichella, che dal 16 dicembre manderà a casa migliaia di detenuti perché possano festeggiare il Santo Natale e l’ultimo anno di pena ai domiciliari (memorabile la difesa del viceministro Castelli ad Annozero: “Noi non li mettiamo fuori, li mandiamo a casa”, per l’entusiasmo degli elettori leghisti, che avevano capito male: pensavano che li lasciassero dentro). Oggi il pover’ometto otterrà quasi certamente la fiducia, con uno o due voti di vantaggio, grazie a una quindicina di deputati comprati un tanto al chilo e a tre deputate partorienti. Fiducia a tempo, che durerà fino al ritorno delle tre neomamme dal reparto maternità. Provvederà poi Bossi a staccargli la spina quanto prima e a mandarci a votare. Solo nel regno dei morti, infatti, il governo del Cavaliere Inesistente, quello che “la monnezza da Napoli sparirà in tre giorni”, quello che “ricostruiremo L’Aquila in un anno”, quello del “miglior premier degli ultimi 150 anni”, quello che “Ruby è la nipote di Mubarak”, quello che “Putin è un dono di Dio” e “Gheddafi è un leader di libertà”, quello che “la crisi è passata” anzi “non esisterebbe se non ne parlasse Annozero”, quello del lodo Alfano, della legge bavaglio, del processo breve cioè morto, del legittimo impedimento, dello scudo fiscale pro evasori, dell’antimafia con monumento equestre a Mangano, dei tagli alla cultura, alla scuola, alla ricerca, all’università, alla giustizia, alla sicurezza, ma non ai finti premi per i finti film di Dragomira Bonev, può sopravvivere a se stesso per qualche altro giorno. Anzi, sarebbe già morto e sepolto se Fini non si fosse fatto fregare, per un eccesso di responsabilità istituzionale, dal capo dello Stato che un mese fa gli chiese di rinviare il voto sulla mozione di sfiducia alla Camera al 14 dicembre, dando così il tempo al Grande Compratore di acquistare all’asta i deputati mancanti. Ma forse è meglio così: il voto di oggi è una buona occasione, forse l’ultima, per indurre mezza Italia a riflettere su se stessa. Come han potuto milioni di persone votare per uno così, quand’era chiarissimo fin dall’inizio che era sceso in campo solo per farsi gli affari suoi? Come han potuto interi plotoni di giornalisti e intellettuali spacciarlo per l’alfiere della “rivoluzione liberale”, mentre lui trafficava notte e giorno, nelle ore lasciate libere dalle escort, per scampare ai processi e arraffare milioni? Come ha potuto la cosiddetta opposizione, salvo rare eccezioni, glissare sul conflitto d’interessi che proprio in questi giorni ha esplicato la sua geometrica potenza con l’intero gruppo Mediaset (le consultazioni le faceva direttamente Confalonieri) impegnato a offrire carote ai consenzienti e a minacciare bastoni ai dissenzienti? Sabato, alla manifestazione del Pd, nessuno ha osato ricordare la verità: e cioè che B. è abbarbicato disperatamente non al governo, ma all’annesso legittimo impedimento per sfuggire alla giustizia. Ha dovuto ricordarlo Fini. Dall’altra parte chi lo dice passa per un pericoloso dipietrista. Oggi Fini, da presidente della Camera, sarà costretto ad astenersi come vuole la prassi. Ma, se mancasse un solo voto alla sfiducia, una mossa davvero futurista ce l'avrebbe: dimettersi all’istante e votargli contro. Perderebbe la poltrona, ma passerebbe alla storia.

fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'
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