Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 24 novembre 2010
VIENI VIA CON ME: 'Il gran teatro affossa il teatrino' di Norma Rangeri
Alla fine sono restati tutti, nessuno se ne è andato, altri si sono aggiunti. Dieci milioni di telespettatori, superati durante il monologo di Saviano. Un discorso di grande impatto riservato ai rifiuti, raccontati nella loro camaleontica capacità di trasformarsi in case, scuole, strade, orti e frutteti. La spazzatura come merce comprata e venduta, finemente sbriciolata dalle squadre della camorra, poi impastata con un po’ di calce e cemento per costruire città e campagne avvelenate. In Campania e non solo.
Come un’onda anomala, per la terza volta Vieni via con me fa saltare i record di ascolto di Raitre. Sembra di essere tornati ai tempi di Rock-Politik quando Celentano atterrò come un marziano nei tinelli italiani inchiodandone lo sguardo sul mondo violentato dalle guerre e dalla sottocultura dei reality show. Così accade ora con questo non-programma, unicum non seriale, che diventa evento capace di allargare il piccolo schermo per far posto alla società che c’è e non si vede. Se non raramente, magari ospitata su qualche poltroncina, confusa tra gli schiamazzi di un vecchio, agonizzante ceto politico.
Dalla scatola accesa arriva un flusso di passioni e sentimenti, in un gioco di reciproco riconoscimento, come se lo schermo fosse improvvisamente più sottile e l’autoritarismo del mezzo meno pesante. Lì parla e si specchia il paese che resiste allo sfascio delle istituzioni, trovano cittadinanza le esperienze che riempiono il vuoto dei partiti, le persone rompono la gabbia del ruolo sociale. L’elegante congolese elenca quel che gli manca della sua terra, la sorella di Stefano Cucchi ricorda sorrisi, abbracci, sguardi del fratello, Luigi Manconi scandisce le cifre della disumana condizione dei detenuti italiani, Bonino rivendica le battaglie delle donne. Persino i politici costretti ai trenta secondi in piedi sembrano riacquistare sembianze umane. A parte il ministro Maroni che non riesce a passare indenne nella cruna del format e anziché limitarsi a recitare il suo elenco di latitanti, entra nella polemica con Saviano facendo il comizietto in difesa dell’onore della Lega. Senza nemmeno cambiarsi la giacca per fare la parte del militante padano.
Chi avremmo voluto che non rispettasse la rigida regola dell’elenco, Corrado Guzzanti, l’ha invece osservata religiosamente. Le sue battute volano via troppo in fretta, puro godimento fino all’ultima stilla («La camorra protesta: "la scorta di Saviano ci impedisce il contraddittorio"»).
Quando tocca a Tremonti, appena un accenno alla voce stridula del ministro. Ma ora che abbiamo visto il gran teatro, chi guarderà i soliti teatrini?
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Come un’onda anomala, per la terza volta Vieni via con me fa saltare i record di ascolto di Raitre. Sembra di essere tornati ai tempi di Rock-Politik quando Celentano atterrò come un marziano nei tinelli italiani inchiodandone lo sguardo sul mondo violentato dalle guerre e dalla sottocultura dei reality show. Così accade ora con questo non-programma, unicum non seriale, che diventa evento capace di allargare il piccolo schermo per far posto alla società che c’è e non si vede. Se non raramente, magari ospitata su qualche poltroncina, confusa tra gli schiamazzi di un vecchio, agonizzante ceto politico.
Dalla scatola accesa arriva un flusso di passioni e sentimenti, in un gioco di reciproco riconoscimento, come se lo schermo fosse improvvisamente più sottile e l’autoritarismo del mezzo meno pesante. Lì parla e si specchia il paese che resiste allo sfascio delle istituzioni, trovano cittadinanza le esperienze che riempiono il vuoto dei partiti, le persone rompono la gabbia del ruolo sociale. L’elegante congolese elenca quel che gli manca della sua terra, la sorella di Stefano Cucchi ricorda sorrisi, abbracci, sguardi del fratello, Luigi Manconi scandisce le cifre della disumana condizione dei detenuti italiani, Bonino rivendica le battaglie delle donne. Persino i politici costretti ai trenta secondi in piedi sembrano riacquistare sembianze umane. A parte il ministro Maroni che non riesce a passare indenne nella cruna del format e anziché limitarsi a recitare il suo elenco di latitanti, entra nella polemica con Saviano facendo il comizietto in difesa dell’onore della Lega. Senza nemmeno cambiarsi la giacca per fare la parte del militante padano.
Chi avremmo voluto che non rispettasse la rigida regola dell’elenco, Corrado Guzzanti, l’ha invece osservata religiosamente. Le sue battute volano via troppo in fretta, puro godimento fino all’ultima stilla («La camorra protesta: "la scorta di Saviano ci impedisce il contraddittorio"»).
Quando tocca a Tremonti, appena un accenno alla voce stridula del ministro. Ma ora che abbiamo visto il gran teatro, chi guarderà i soliti teatrini?
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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