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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 30 novembre 2010

Vendola: «Rifondare il Pd? No, fondiamo il nuovo centrosinistra» di Matteo Bartocci

Nichi Vendola è a Roma per firmare due intese con il governo decisive per la Puglia: quella a lungo attesa per il piano di rientro dal buco sanitario e quella che mira ad attenuare l’emergenza per i rifiuti campani.
Inevitabile però parlare della «babele» scoppiata nel Pd e che lo tira in ballo direttamente.
Il senatore Latorre sul Corriere della sera ti invita a diventare «socio fondatore» di un nuovo Pd. Che fai, ricominci con una «rifondazione»?
Innanzitutto apprezzo di Latorre il garbo e il rispetto verso gli interlocutori. E’ una clausola di stile che per me ha un significato politico. Nelle sue parole c’è la proposta di un’interlocuzione vera. Che parte dall’ammissione molto significativa di quella che io chiamo «l’incerta natura» del Pd. Latorre pone un problema e lo fa con coraggio. Personalmente mi piacerebbe molto diventare socio fondatore di un nuovo centrosinistra, in cui tutte le forze siano in grado di ristrutturarsi e di innovarsi profondamente anche dal punto di vista culturale.
Impegnarsi in questo «nuovo atto fondativo» vuol dire rinunciare alle primarie?
Niente affatto. Il nuovo centrosinistra si costruisce con le primarie. La sua novità sta esattamente nella partecipazione democratica e nell’idea di politica come bene comune. Contro la privatizzazione della politica che ha fatto Berlusconi e contro un’idea tutta tecnocratica di alternativa.
Ma se le primarie vanno fatte comunque, tu come ti ci presenti?
Non conosco alternative. Stiamo ai fatti. Le alleanze costruite a tavolino finiscono subito sotto il fuoco incrociato dei veti e delle interdizioni. E quando si dice che dobbiamo partire da un programma comune viene in mente un precedente abbastanza nefasto. Nessun compromesso sulle virgole e gli aggettivi può sciogliere i nodi di un programma di alternativa. Non mi sento minimanente antagonista dei cattolici o dei moderati che sono dentro e fuori il Pd. Mi sento antagonista dei prigionieri di quella superstizione ideologica chiamata liberismo.
E allora bastano le primarie da sole?
Con le primarie il programma e la coalizione si costruiscono all’aria aperta, affidandoci ai soggetti sociali che urlano il bisogno di un’alternativa arrampicandosi sui tetti, sulle gru, nelle fabbriche e nelle piazze, che ci chiedono di vivere la crisi non come un’alibi per la macelleria sociale ma come un’occasione di cambiamento. Io davvero non ho come obiettivo cannibalizzare il Pd. Voglio costruire un salto di qualità nella cultura e nella proposta politica del centrosinistra. E’ impensabile uscire dal quindicennio berlusconiano facendo solo la somma dei frammenti sparsi cercando magari qualche nuovo aggregato. Per me la risposta è la narrazione, che è una bussola e un’orizzonte. E’ questo che ancora manca al centrosinistra. Io vedo due nemici del cambiamento: il minoritarismo di chi vuole solo autoproporsi nella propria identità ideologica e il «compatibilismo» di quelli che di adattamento in adattamento hanno perso qualunque fisionomia che renda una politica distinta da un’altra. «Siete tutti uguali» ormai è un luogo comune. Tutto si è confuso. E poi si è aggiunta la questione morale. Anche nel centrosinistra, sia pure con una capacità di auto bonifica sconosciuta all’innocentismo a prescindere della destra.
Fiom, Cgil, studenti. Fuori dal parlamento c'è un'opposizione più avanti di quella in parlamento. Per le primarie rischia di non esserci tempo né pazienza.
Il mio unico timore è che vengano ridotte a un argomento politicistico. Io cerco di metterle in relazione con quello che accade nella società. Nessuna furbizia può impedirle perché sarebbe distruttiva. Dobbiamo semplicemente avere il coraggio di uscire da questa caverna fatta di paure in cui sembriamo rinchiusi come in una sindrome depressiva. Il centrosinistra appare recitare un copione surreale, non possiamo aspettare il Godot di turno: lo «scandalo degli scandali», Casini o Fini. Dobbiamo dire le parole dell’alternativa e smettere di pensare che per vincere bisogna rimuovere la sinistra. In Italia c’è l’unica sinistra al mondo che pensa
di rappresentare non la soluzione del problema ma il problema.
Come intendi superare la frammentazione politica del centrosinistra?
Tutti vogliamo la sinistra del nuovo millennio. Ma non sappiamo quali saranno i tempi necessari per far lievitare questo fermento. Cerchiamo di ascoltare la domanda di cambiamento e agganciamola alla vita reale. Le primarie sono imperfette ma sono questo. La nevrosi delle candidature a Bologna da parte del Pd è esemplare. E’ difficile capire perché il partito più grande non riesce a scegliere un candidato singolo nemmeno in una città come Bologna. E a Napoli è lo stesso. Le primarie sono in grado di far sgorgare l’acqua pura che c’è ma che rischia di rimanere invisibile. A Milano è emerso un centrosinistra di qualità, che conosce i problemi e lavora alle soluzioni. Si sta costruendo una coalizione che può scongiurare la costruzione di un ceto separato.
A Torino ti convince la candidatura di Piero Fassino da parte del Pd?
Il mio affidamento nei confronti dei territori è totale. Penso però che dobbiamo avere un’autonomia culturale che contribuisca alla crescita di un nuovo centrosinistra.
Se nel Pd prevalesse la linea del «correre da soli» voi che fate? Escludi a priori un quarto polo con Idv e sinistra?
Escludo che la linea del «correre da soli» abbia un fondamento nella realtà. La teoria dell’autosufficienza è stata velleitaria. E’ andata così. E’ inimmaginabile che il berlusconismo possa essere seppellito senza una grande battaglia politica e culturale. Non ho pregiudizi nei confronti dei «centristi» ma al centro non ci deve essere la fine dell’umiliazione del corpo delle donne? Più che ai vari poli pensiamo alla lotta alla precarietà che per noi è una grande battaglia di libertà. Non una battaglia di perdenti ma un discorso generale sui fondamenti della società. L’ago e il filo di una trama nuova.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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