
invece leggere nello strepitoso ascolto del programma una voglia generale di spegnere le scenografie berlusconiane, di staccare la spina a veline e tromboncini, grandifratelli e opinionisti. Nove milioni senza l’attrazione spettacolare di Roberto
Benigni sono il segnale che gli umori della società stanno cambiando. Niente lustrini, una scrittura essenziale, la visione di uno studio che non vuole eccitare lo sguardo con il déjà vu, ma sorprenderlo, emozionarlo con le parole. Nove milioni sono il risultato più alto di sempre di Raitre, un termometro incandescente che misura un bisogno primario (primarie milanesi comprese) di ascoltare qualcosa di utile, essenziale, importante, possibilmente a bassa voce così resta bene in mente. Come la verità sui rapporti politici tra ’ndrangheta, imprenditoria e politica nei feudi elettorali leghisti. Si possono fare denunce così gravi (il monologo di Saviano) in prima serata, avendo nell’immensa platea della tv due milioni di ragazzi tra i 15 e i 25 che non guardano il Grande Fratello (in onda su Canale5). Al ministro Maroni sono saltati i nervi («infamie»). Ma se fossi Saviano non avrei dubbi: non un diritto di replica, ma un faccia a faccia in tv con il ministro. In fondo i tanto attesi monologhi di Fini e Bersani sono stati il momento meno esaltante del programma. Gli elenchi dei due leader pesavano nulla a confronto delle testimonianze di Mina Welby, della ragazza immigrata, di don Gallo, di Beppino Englaro. Parole per pensare un altro modo di vivere la politica. Fuori dalla bussola di chi cerca un centromoderato dove confluire per il consenso.
«Vieni via con me» dimostra che certi argomenti dividono solo quando finiscono nelle mani dei giocolieri mediatici e, purtroppo, dei loro irriducibili, mediocri imitatori di sinistra.
Fonte articolo 'IlManifesto'
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