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lunedì 1 novembre 2010
Osservazioni semantiche e semiologiche sul neologismo Bunga bunga di Adriana Di Domenico
(vignetta Claudio Ruiu)
Bunga bunga è una, anzi due parole intensamente evocative e metaforicamente onomatopeiche. Provate a pronunciarle lentamente, in tonalità di basso, prolungando il suono cupo della U: Buuungaa buuungaa. Ed ecco apparire un'intera tribù africana raccolta in cerchio intorno allo stregone che dirige un gruppetto di suonatori di tamburo (il tipico tamburo africano che si vedeva nei film). La cerimonia, rigorosamente in notturna, ha lo scopo di evocare gli spiriti dei defunti in funzione propiziatoria. Nelle tenebre a malapena squarciate da poche fiaccole, i neri ovviamente non si vedono quasi, mentre lo stregone, avvolto in pelli di leopardo, è illuminato dal fuoco acceso davanti a lui e ai suonatori che percuotono i loro strumenti sempre con la stessa lugubre cadenza: Buuu-ngaa buu-ngaa.
Provate ora a pronunciare la/le parole velocemente, con un ritmo sincopato: Bùn-gà bùn-gà: vi troverete nel mezzo di una sfrenata danza caraibica, con atletici giovanotti bruniti e sensuali fanciulle adorne di fiori mentre i tamburi suonano freneticamente. Il tutto tra vento, sole, mare, palmizi ondeggianti e una serie di villette che, dicono, appartengono a un simpatico signore italiano.
Il Bunga Bunga può essere tutto, per esempio un ballo degli anni sessanta: "se prima eravamo in due a ballare il bunga bunga, adesso siamo in trenta a ballare il bunga bunga"; oppure un raro animale esotico, un pappagallo africano o un buffo mammifero marsupiale australiano; o ancora un mantra, una formula magica, un'invocazione agli dei o ai demoni ricca di profonde vibrazioni e risonanze interiori.
Ma pare che al momento l'unico Bunga bunga che interessa il popolo italiano sia una sorta di gioco di società o di gruppo che si svolge generalmente in ville o palazzi, una specie di girotondo o mosca cieca o le Belle Statuine o Buongiorno Nonnino! I giochi della nostra infanzia più o meno lontana vivono una nuova stagione, opportunamente aggiornati e corretti. Chi sta sotto è sempre il Nonnino, detto affettuosamente Papi, mentre gli altri, o meglio le altre, si dispongono in cerchio, scappano emettendo finti gridolini mentre il Nonno bendato allunga le mani, si atteggiano nelle pose più svariate, possibilmente orizzontali, e vanno a riverire il Nonnino seduto sul suo trono, mettendosi con devota umiltà in ginocchio davanti a lui. Come si pronunciano le parole in questa forma particolare di Bunga bunga? Anche qui libertà assoluta: con strilletti, risolini, cinguettii, finti gemiti, sospiri ... Gli esclusi dal gioco, viceversa, possono prodursi in invettive, interviste, dibattiti, espressioni di collera, invidia, riprovazione, articoli di giornale, ospitate televisive, approvazione, compiacenza, ilarità, di tutto e di più.
Noi, cittadini comuni, non abbiamo più parole né suoni.
Fonte articolo 'Il filo di Ariadne'
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Bunga bunga è una, anzi due parole intensamente evocative e metaforicamente onomatopeiche. Provate a pronunciarle lentamente, in tonalità di basso, prolungando il suono cupo della U: Buuungaa buuungaa. Ed ecco apparire un'intera tribù africana raccolta in cerchio intorno allo stregone che dirige un gruppetto di suonatori di tamburo (il tipico tamburo africano che si vedeva nei film). La cerimonia, rigorosamente in notturna, ha lo scopo di evocare gli spiriti dei defunti in funzione propiziatoria. Nelle tenebre a malapena squarciate da poche fiaccole, i neri ovviamente non si vedono quasi, mentre lo stregone, avvolto in pelli di leopardo, è illuminato dal fuoco acceso davanti a lui e ai suonatori che percuotono i loro strumenti sempre con la stessa lugubre cadenza: Buuu-ngaa buu-ngaa.
Provate ora a pronunciare la/le parole velocemente, con un ritmo sincopato: Bùn-gà bùn-gà: vi troverete nel mezzo di una sfrenata danza caraibica, con atletici giovanotti bruniti e sensuali fanciulle adorne di fiori mentre i tamburi suonano freneticamente. Il tutto tra vento, sole, mare, palmizi ondeggianti e una serie di villette che, dicono, appartengono a un simpatico signore italiano.
Il Bunga Bunga può essere tutto, per esempio un ballo degli anni sessanta: "se prima eravamo in due a ballare il bunga bunga, adesso siamo in trenta a ballare il bunga bunga"; oppure un raro animale esotico, un pappagallo africano o un buffo mammifero marsupiale australiano; o ancora un mantra, una formula magica, un'invocazione agli dei o ai demoni ricca di profonde vibrazioni e risonanze interiori.
Ma pare che al momento l'unico Bunga bunga che interessa il popolo italiano sia una sorta di gioco di società o di gruppo che si svolge generalmente in ville o palazzi, una specie di girotondo o mosca cieca o le Belle Statuine o Buongiorno Nonnino! I giochi della nostra infanzia più o meno lontana vivono una nuova stagione, opportunamente aggiornati e corretti. Chi sta sotto è sempre il Nonnino, detto affettuosamente Papi, mentre gli altri, o meglio le altre, si dispongono in cerchio, scappano emettendo finti gridolini mentre il Nonno bendato allunga le mani, si atteggiano nelle pose più svariate, possibilmente orizzontali, e vanno a riverire il Nonnino seduto sul suo trono, mettendosi con devota umiltà in ginocchio davanti a lui. Come si pronunciano le parole in questa forma particolare di Bunga bunga? Anche qui libertà assoluta: con strilletti, risolini, cinguettii, finti gemiti, sospiri ... Gli esclusi dal gioco, viceversa, possono prodursi in invettive, interviste, dibattiti, espressioni di collera, invidia, riprovazione, articoli di giornale, ospitate televisive, approvazione, compiacenza, ilarità, di tutto e di più.
Noi, cittadini comuni, non abbiamo più parole né suoni.
Fonte articolo 'Il filo di Ariadne'
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