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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 5 novembre 2010

LEGGE ELETTORALE: Pd, Udc e finiani verso un porcellum «anti-Silvio» di Matteo Bertocci

Berlusconi «si è autoparalizzato: è prigioniero della Lega che gli vuol togliere i voti e di Tremonti che gli vuol togliere il posto». La sintesi spietata di Italo Bocchino non è lontana dalla realtà e individua con precisione il vero antagonista dei finiani, non tanto il Cavaliere 74enne quanto la Lega e il suo superministro dell’economia. Il premier «non ha la cassa e non può fare le riforme», affonda ancora Bocchino. Ma oltre alla libertà dal Pdl che cosa riserva il futuro? «Se si apre una crisi cosicché lui possa fare la vittima, se lo dimentichi. C'è una maggioranza alternativa che può fare la legge elettorale. Un governo con chi ci vuole stare che stemperi il clima e porti il paese alle elezioni». E qui la prospettiva si fa assai più sfumata. E la baldanza futurista sconfina nella fantapolitica.
Ieri sulla Stampa è apparso l’ultimo aggiornamento (non smentito) della possibile riforma elettorale su cui stanno trattando dietro le quinte Pd, Udc e finiani. Gli sherpa sono noti: Violante e Bressa del Pd, D’Alia dell’Udc e lo stesso Bocchino per Fli. La bozza riguarderebbe per ora solo la camera. Un sistema misto uninominale-proporzionale: 55%-60% dei seggi assegnati con l’uninominale a doppio turno, il resto con un sistema proporzionale in circoscrizioni elettorali. Il candidato premier si indicherebbe tra il primo e secondo turno, vanificando così sia l’idea fondativa delle primarie che l’indicazione diretta da parte dei cittadini della coalizione di governo e del premier.
Secondo alcuni tecnici consultati dai vari schieramenti e le indiscrezioni raccolte negli ambienti parlamentari, la bozza non è l’unica che circola. Anzi. Quella viene bollata come «bozza Violante». E anche nel Pd invece si susseguono le ipotesi più diverse. Nelle riunioni informali che vanno avanti da settimane - tutte ben lontano dal parlamento - si parla con molta più insistenza di un «porcellum» il cui premio di maggioranza scatti solo a una soglia di voti prefissata, attorno al 45%. Un’idea più semplice che però sembra fatta su misura per contrastare solo Pdl e Lega e dunque di dubbia praticabilità. La forma, com’è noto, è sostanza. I due modelli sono diversi tra loro in tutto. Tranne in un rifiuto deciso e apparentemente condiviso dai vari sherpa del ritorno alle preferenze.
Ma ciò che è davvero decisivo e indicativo delle volontà politiche è il fattore tempo. Tornare all’uninominale o al maggioritario richiede comunque il ridisegno completo dei collegi elettorali. Un’operazione tecnica che nel ’93 fu fatta in 4 mesi. Ma oggi, visti i necessari compromessi politici in una situazione così complessa, sarebbe necessario molto di più. Né si possono riprendere quelli vecchi, perché da allora a oggi c’è stato il censimento del 2001 e ci sono 12 seggi alla camera e 6 al senato che vanno di diritto agli italiani all’estero. Riforme ambiziose hanno bisogno di tempo. Senza contare che nessuno finora ha ben chiaro cosa fare con la legge per il senato, che secondo la Costituzione deve essere eletto su base regionale.
Sarà pure vero che come dice Bocchino che c’è una maggioranza alternativa per fare le riforme. Ma quali e in quanto tempo è al di là da venire.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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