Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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sabato 20 novembre 2010
Il governo della mafia di Giuseppe Di Lello
(foto Ublog)
Pesanti, durissime le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’appello di Palermo aveva condannato a sette anni di reclusione il senatore Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, ma non sorprendenti per quanti hanno seguito l’evolversi dell’intreccio mafia – politica in questi ultimi anni.
Il senatore, ideatore di Forza Italia, sarebbe stato, secondo le risultanze processuali, «uno specifico canale di collegamento» tra Berlusconi e i bossmafiosi, riuscendo ad agganciare i capi di Cosa Nostra «ad una delle più promettenti realtà imprenditoriali che, di lì a qualche anno, sarebbe diventato un vero e proprio impero finanziario ed economico». Con i puntini degli omissis sui nomi potrebbe sembrare il brano di un trattato teorico di quell’intreccio, ed invece, riempiendoli con i nomi di Dell’Utri e Berlusconi, abbiamo un capitolo della storia d’Italia di questi ultimi anni.
Abbiamo sempre contrastato la falsa propaganda berlusconiana di un governo che avrebbe combattuto il crimine organizzato più di tutti gli altri nella storia anche perché, a fronte degli arresti di latitanti e dei sequestri di beni illeciti, vedevamo le mafie invadere letteralmente la penisola. E del resto come avrebbe potuto ostacolare il potere mafioso chi come Dell’Utri «ha apportato un valido e consapevole contributo al rafforzamento del sodalizio mafioso»?
Come si può credere che si voglia contrastare la mafia quando la politica del "fare" si sostanzia di favori alla criminalità negli appalti dei lavori pubblici, nel ciclo dei rifiuti, nella devastazione dell’ambiente, nel riciclaggio? Questa politica significa affari illeciti e collusioni con pezzi importanti delle istituzioni al riparo da una accorta opera di protezione del governo "amico".
E’ un indebolimento degli organi di controllo con scudi ed evasione fiscale, sanatorie, accorciamento della prescrizione e, soprattutto, con una costante delegittimazione della magistratura ed una perenne minaccia di metterla all’angolo etichettandone alcuni settori addirittura come una associazione a delinquere.
Sempre pronti a lanciare un segnale forte quando ce n’è bisogno, come nel caso dell’ex sottosegretario Cosentino e sempre disponibili a gridare alla diffamazione quando qualcuno si permette di dire che i gruppi criminali si sono impadroniti delle regioni dove il loro comando è egemonico.
Berlusconi nel suo ruolo di capo del governo e Dell’Utri ancora senatore della Repubblica, sono oggi, ancor di più, una sfida e uno sfregio alla democrazia.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Coso nostro di Marco Travaglio
Pesanti, durissime le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’appello di Palermo aveva condannato a sette anni di reclusione il senatore Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, ma non sorprendenti per quanti hanno seguito l’evolversi dell’intreccio mafia – politica in questi ultimi anni.
Il senatore, ideatore di Forza Italia, sarebbe stato, secondo le risultanze processuali, «uno specifico canale di collegamento» tra Berlusconi e i bossmafiosi, riuscendo ad agganciare i capi di Cosa Nostra «ad una delle più promettenti realtà imprenditoriali che, di lì a qualche anno, sarebbe diventato un vero e proprio impero finanziario ed economico». Con i puntini degli omissis sui nomi potrebbe sembrare il brano di un trattato teorico di quell’intreccio, ed invece, riempiendoli con i nomi di Dell’Utri e Berlusconi, abbiamo un capitolo della storia d’Italia di questi ultimi anni.
Abbiamo sempre contrastato la falsa propaganda berlusconiana di un governo che avrebbe combattuto il crimine organizzato più di tutti gli altri nella storia anche perché, a fronte degli arresti di latitanti e dei sequestri di beni illeciti, vedevamo le mafie invadere letteralmente la penisola. E del resto come avrebbe potuto ostacolare il potere mafioso chi come Dell’Utri «ha apportato un valido e consapevole contributo al rafforzamento del sodalizio mafioso»?
Come si può credere che si voglia contrastare la mafia quando la politica del "fare" si sostanzia di favori alla criminalità negli appalti dei lavori pubblici, nel ciclo dei rifiuti, nella devastazione dell’ambiente, nel riciclaggio? Questa politica significa affari illeciti e collusioni con pezzi importanti delle istituzioni al riparo da una accorta opera di protezione del governo "amico".
E’ un indebolimento degli organi di controllo con scudi ed evasione fiscale, sanatorie, accorciamento della prescrizione e, soprattutto, con una costante delegittimazione della magistratura ed una perenne minaccia di metterla all’angolo etichettandone alcuni settori addirittura come una associazione a delinquere.
Sempre pronti a lanciare un segnale forte quando ce n’è bisogno, come nel caso dell’ex sottosegretario Cosentino e sempre disponibili a gridare alla diffamazione quando qualcuno si permette di dire che i gruppi criminali si sono impadroniti delle regioni dove il loro comando è egemonico.
Berlusconi nel suo ruolo di capo del governo e Dell’Utri ancora senatore della Repubblica, sono oggi, ancor di più, una sfida e uno sfregio alla democrazia.
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