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di 'Per quel che mi riguarda'

giovedì 4 novembre 2010

Bella ciao a Sanremo: una par condicio da piano bar di Alberto Piccinini

Come diceva quella vecchia battuta di Nanni Moretti? «Rossi e neri tutti uguali?! Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?». Più o meno. Il prossimo presentatore del Festival di Sanremo Gianni Morandi rivela ai giornalisti che una serata della
kermesse sarà dedicata all’Unità d’Italia attraverso le canzoni e «si tornerà a sentire Bella ciao». Il direttore artistico del Festival Gianmarco Mazzi si affretta ad aggiungere che «un big canterà pure Giovinezza», che nacque – aggiunge – come canzone della goliardia toscana dei primi del Novecento.
Per non strumentalizzare. E ci mancherebbe altro. Se così si prepara lo scenario culturale del dopo-Berlusconi (che a Bella ciao si è sempre detto allergico), stiamo freschi. Va bene che Bella Ciao è risuonata nella versione rock dei Modena City Ramblers pure al Congresso di Sinistra e Libertà, dopo l’intervento di Nichi Vendola.
E che prima di allora è stato il clou di innumerevoli Primo Maggio rock in piazza San Giovanni, e naturalmente il filo conduttore della manifestazione di Milano il 25 aprile 1994. Mettiamoci anche Santoro che la canta in diretta, e consideriamo pure che nella estemporanea polemichetta sanremese sono intervenuti anche leghisti che hanno lamentato l’assenza del Va’ Pensiero dai temi del dibattito.
Ma c’è un limite a tutto. Persino all’uso distorto del termine «par condicio», che in casi come questi è peggio che «un attimino» o «quantaltro».
Le canzoni hanno una storia, e tutte le storie sono interessanti. Se Sanremo vuole raccontare i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso le canzoni, rischia il pianobar, ma faccia pure.
Una cosa è certa: le canzoni non sono tutte uguali. Bella ciao è stata incisa negli anni ’60 da Giorgio Gaber, Yves Montand, Milva, Anna Identici. È musica leggera più che musica politica, se le parole hanno un senso. È una delle canzone popolari più famose di tutte, in tutto il mondo. È una canzone triste, il lamento per la morte di un partigiano, che contrasta con una musica stranamente allegra. Nessuno ha ancora capito da dove arrivi, se dalle mondine o da una melodia yiddish. Non è escluso che il buon Gianni Morandi, bravo ragazzo di sinistra, l’abbia cantata in uno dei Festival dell’Unità nei quali ha fatto gavetta sempre al principio degli anni 1960. Auguri invece al big che vorrà interpretare una difficile versione pop (o hard rock) di Giovinezza.
Chi sarà? Non sarà Valerio Scanu, ultimo vincitore del Festival di Sanremo, che senza fantasia ha dichiarato: «Preferisco l’inno di Mameli». Vabbè. Giovinezza venne composta effettivamente nel 1909 come inno dei goliardi torinesi già mezzo interventisti, poi riscritta tre volte fino alla versione finale di Salvator Gotta («E per Benito Mussolini/ eja eja alallà»). «Basta avere la coda di paglia» ha detto ieri La Russa commentando il montare della piccola polemica sanremese, «Giovinezza la cantavano milioni di italiani». Certamente non venne suonata da Arturo Toscanini il 14 marzo 1934 al Teatro Comunale di Bologna. Lo sgarbo compiuto al cospetto dei gerarchi Ciano e Arpinati valse a Toscanini uno schiaffo nel retropalco da parte di una giovane camicia nera, Leo Longanesi, e la decisione quasi istantanea del maestro di emigrare negli Stati uniti.
Ancora. Pensi a Bella ciao al Festival e ti viene in mente che per lo spettacolo Bella Ciao, presentato al Festival di Spoleto nel 1964, esordio in grande spolvero del nostro folk revival, arrivarono in sala fascisti e carabinieri per impedire non la versione (sublime) della ex mondina Giovanna Daffini, ma per l’esecuzione di Gorizia tu sei maledetta, con il verso «Traditori signori ufficiali/ che la guerra avete voluta». Denunciati per vilipendio delle forze armate, tutti gli autori. Pensi a Giovinezza e ti viene in mente la suoneria del cellulare di Lele Mora. Che non è Giovinezza, ma Faccetta nera, però fa lo stesso.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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