Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 28 ottobre 2010
Il disordine pubblico di Maroni di Luigi De Magistris
(vignetta Mauro Biani)
L’evocazione del pugno di ferro da parte del ministro Maroni verso le proteste a Terzigno, insieme alle recenti dichiarazioni dell’ad Fiat Marchionne, delineano un quadro preoccupante per la democrazia del Paese. Mettere in fila le ultime performance del capo del Viminale offre uno sguardo d’insieme su una strategia che ha trovato la prima risposta nella piazza romana del 16 ottobre.
La manifestazione organizzata dalla Fiom è stata nutrimento per la democrazia. I metalmeccanici e il sindacato Fiom-Cgil sono consapevoli di essere obiettivo sensibile di un disegno autoritario che tende a rafforzare il capitale mortificando i diritti e la dignità dei lavoratori.
Tra Piazza della Repubblica e Piazza San Giovanni si sono materializzati pensiero e corpo politico: operai, impiegati, funzionari, studenti, precari, ricercatori, centri sociali, intellettuali, politici.
Il ministro Maroni, con dilettantesca irresponsabilità, ha provato a inquinare la manifestazione. Utilizzando la propaganda di regime, ha paventato il rischio concreto che si trattasse di un evento pseudo-sovversivo a rischio infiltrazione da parte di frange eversive violente. La solita polpetta avvelenata, tipica della strategia della tensione, utilizzata anche alla vigilia della manifestazione No-Global per il G8 di Genova del 2001. Alla fine, al di là di taluni criminali tra le centinaia di migliaia di manifestanti pacifici, la condanna per gravissimi reati è stata inflitta ad esponenti apicali della Polizia di Stato, tra cui l’ex Capo della Polizia (attualmente al vertice dei servizi).
Mentre il ministro della difesa La Russa gioca a fare il soldatino sfruttando il senso di Stato e di patria dei militari in Afghanistan, molti dei quali terroni come me, nella consapevolezza che ogni militare morto, in una missione di guerra costituzionalmente illegale, vuol dire più soldi per le commesse di armi, il ministro Maroni consolida lo stato d’eccezione rafforzando la filosofia dell’ordine pubblico come strumento per affrontare questioni economiche, sociali, ambientali e politiche. Per nascondere il fallimento del governo in materia di sicurezza, pensa al manganello. E si mandano allo sbaraglio le forze dell’ordine costrette a eseguire un disegno autoritario incostituzionale e antidemocratico. Nello stesso tempo i medesimi apparati della sicurezza interna e internazionale non sono stati in grado di prevedere l’invasione di centinaia di nazifascisti in occasione delle partita della nazionale di calcio a Genova. Il Ministro Maroni ha scaldato i muscoli in occasione della manifestazione della Fiom, ma ha dovuto miseramente riporre le armi del becero autoritarismo ricevendo dalla classe operaia una lezione di maturità sindacale e politica.
Anche manifestazioni studentesche hanno subito cariche della polizia e provvedimenti restrittivi apparsi sproporzionati. Così come il dramma della povertà e dell’immigrazione diviene questione di ordine pubblico: Maroni a giustifica i colpi di mitragliatrice esplosi da imbarcazioni libiche – con all’interno militari della guardia di finanza costretti dal governo a operare in condizioni di illegalità – all’indirizzo di pescherecci italiani perché all’interno potevano esserci immigrati.
Dunque l’immigrato come bersaglio militare. Invece di garantire i diritti di tutti propone discariche sociali, espulsioni di massa per i cittadini comunitari senza reddito e senza fissa dimora. All’altezza dello squadrismo leghista che si accompagna alle dichiarazioni del ministro Calderoni: «peggio per loro». Se nascono poveri, poveri devono rimanere.
L’ordine pubblico, anzi il disordine pubblico di stato, serve anche per nascondere il fallimento nel settore delle politiche ambientali e per utilizzare il manganello di stato al fine di sedare le rivolte delle popolazioni che non accettano che il territorio sia violentato da interessi criminali. La repressione e la criminalizzazione del dissenso si pratica anche per colpire i manifestanti de L’Aquila. Pretendere giustizia per i loro morti, verità sulla mancata ricostruzione e sul come siano stati utilizzati i fondi post-terremoto non va bene, è un attentato alla sicurezza nazionale. Il popolo delle carriole viene accolto a Roma con i manganelli dopo che a L’Aquila si era già provveduto a sequestrare le stesse carriole, senza neppure percepire il lato grottesco della faccenda, quale corpo del reato.
L’ordine pubblico serve e calza a pennello sulla sagoma del capo dello stato d’eccezione, l’ingegnere Guido Bertolaso, per consolidare il regime dell’emergenza, nascondere i fallimenti della presidenza del consiglio, reprimere le comunità locali e preservare gli interessi degli speculatori degli inceneritori e dei criminali delle discariche fuorilegge. L’ordine pubblico diventa strumento di difesa messo in atto dalla forze di polizia (piegate al disegno dei poteri forti) per tutelare un capitalismo senile e una borghesia mafiosa, entrambi espressione di un progetto di verticalizzazione e concentrazione del potere che mortifica la libertà e annichilisce gli organi di garanzia sociale e statuale.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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L’evocazione del pugno di ferro da parte del ministro Maroni verso le proteste a Terzigno, insieme alle recenti dichiarazioni dell’ad Fiat Marchionne, delineano un quadro preoccupante per la democrazia del Paese. Mettere in fila le ultime performance del capo del Viminale offre uno sguardo d’insieme su una strategia che ha trovato la prima risposta nella piazza romana del 16 ottobre.
La manifestazione organizzata dalla Fiom è stata nutrimento per la democrazia. I metalmeccanici e il sindacato Fiom-Cgil sono consapevoli di essere obiettivo sensibile di un disegno autoritario che tende a rafforzare il capitale mortificando i diritti e la dignità dei lavoratori.
Tra Piazza della Repubblica e Piazza San Giovanni si sono materializzati pensiero e corpo politico: operai, impiegati, funzionari, studenti, precari, ricercatori, centri sociali, intellettuali, politici.
Il ministro Maroni, con dilettantesca irresponsabilità, ha provato a inquinare la manifestazione. Utilizzando la propaganda di regime, ha paventato il rischio concreto che si trattasse di un evento pseudo-sovversivo a rischio infiltrazione da parte di frange eversive violente. La solita polpetta avvelenata, tipica della strategia della tensione, utilizzata anche alla vigilia della manifestazione No-Global per il G8 di Genova del 2001. Alla fine, al di là di taluni criminali tra le centinaia di migliaia di manifestanti pacifici, la condanna per gravissimi reati è stata inflitta ad esponenti apicali della Polizia di Stato, tra cui l’ex Capo della Polizia (attualmente al vertice dei servizi).
Mentre il ministro della difesa La Russa gioca a fare il soldatino sfruttando il senso di Stato e di patria dei militari in Afghanistan, molti dei quali terroni come me, nella consapevolezza che ogni militare morto, in una missione di guerra costituzionalmente illegale, vuol dire più soldi per le commesse di armi, il ministro Maroni consolida lo stato d’eccezione rafforzando la filosofia dell’ordine pubblico come strumento per affrontare questioni economiche, sociali, ambientali e politiche. Per nascondere il fallimento del governo in materia di sicurezza, pensa al manganello. E si mandano allo sbaraglio le forze dell’ordine costrette a eseguire un disegno autoritario incostituzionale e antidemocratico. Nello stesso tempo i medesimi apparati della sicurezza interna e internazionale non sono stati in grado di prevedere l’invasione di centinaia di nazifascisti in occasione delle partita della nazionale di calcio a Genova. Il Ministro Maroni ha scaldato i muscoli in occasione della manifestazione della Fiom, ma ha dovuto miseramente riporre le armi del becero autoritarismo ricevendo dalla classe operaia una lezione di maturità sindacale e politica.
Anche manifestazioni studentesche hanno subito cariche della polizia e provvedimenti restrittivi apparsi sproporzionati. Così come il dramma della povertà e dell’immigrazione diviene questione di ordine pubblico: Maroni a giustifica i colpi di mitragliatrice esplosi da imbarcazioni libiche – con all’interno militari della guardia di finanza costretti dal governo a operare in condizioni di illegalità – all’indirizzo di pescherecci italiani perché all’interno potevano esserci immigrati.
Dunque l’immigrato come bersaglio militare. Invece di garantire i diritti di tutti propone discariche sociali, espulsioni di massa per i cittadini comunitari senza reddito e senza fissa dimora. All’altezza dello squadrismo leghista che si accompagna alle dichiarazioni del ministro Calderoni: «peggio per loro». Se nascono poveri, poveri devono rimanere.
L’ordine pubblico, anzi il disordine pubblico di stato, serve anche per nascondere il fallimento nel settore delle politiche ambientali e per utilizzare il manganello di stato al fine di sedare le rivolte delle popolazioni che non accettano che il territorio sia violentato da interessi criminali. La repressione e la criminalizzazione del dissenso si pratica anche per colpire i manifestanti de L’Aquila. Pretendere giustizia per i loro morti, verità sulla mancata ricostruzione e sul come siano stati utilizzati i fondi post-terremoto non va bene, è un attentato alla sicurezza nazionale. Il popolo delle carriole viene accolto a Roma con i manganelli dopo che a L’Aquila si era già provveduto a sequestrare le stesse carriole, senza neppure percepire il lato grottesco della faccenda, quale corpo del reato.
L’ordine pubblico serve e calza a pennello sulla sagoma del capo dello stato d’eccezione, l’ingegnere Guido Bertolaso, per consolidare il regime dell’emergenza, nascondere i fallimenti della presidenza del consiglio, reprimere le comunità locali e preservare gli interessi degli speculatori degli inceneritori e dei criminali delle discariche fuorilegge. L’ordine pubblico diventa strumento di difesa messo in atto dalla forze di polizia (piegate al disegno dei poteri forti) per tutelare un capitalismo senile e una borghesia mafiosa, entrambi espressione di un progetto di verticalizzazione e concentrazione del potere che mortifica la libertà e annichilisce gli organi di garanzia sociale e statuale.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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