Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 21 settembre 2010
UNICREDIT: Una guerra per banche di Galapagos
La Libia è «molto soddisfatta»; la Lega è «imbufalita»; Profumo, l’amministratore delegato, invece, tace. E potrebbe dimettersi oggi. A questo punto sale l’attesa per il Consiglio di amministrazione straordinario che si terrà in giornata e per il Comitato strategico di Unicredit fissato per giovedì: sarà il presidente della banca, il tedesco Peter Rampl - che potrebbe assumere ad interim la carica di amministratore delegato al posto del dimissionario Profumo - che aggiornerà i soci sulla presenza e sulle intenzioni dei libici la cui colpa è di avere aumentato la loro partecipazione nelle banca salendo complessivamente al 7,5% del capitale.
I soldi di Gheddafi piacciono (ne sa qualcosa la Fiat) ma non piace che Tripoli metta il naso negli affari della società nelle quali ha acquisto partecipazioni. Non piace soprattutto alla Lega.
La Libia (la Banca centrale) è presente da molti anni nel capitale di Unicredit. All’inizio come socio del Banco di Roma, poi dopo la fusione dell’istituto romano con Unicredit, in quest’ultima con il 4,99% del capitale che per oltre il 65% è sul mercato. Il problema nasce negli ultimi tempi: il Lia, Libyan Investment Authority, un fondo sovrano che fa capo a Tripoli, comincia a comprare sul mercato azioni di Unicredit e comunica alla Consob di averemesso insieme il2,57% del capitale. Mettendo insieme la quota del Banca centrale libica e quella della Lia, i libici toccano quota 7,56%. Iniziano le proteste: è troppo, visto che esiste un limite statutario del 5% al possesso di capitale. A nulla vale l’obiezione che si tratta di due entità giuridiche distinte: chi accusa sostiene che è tutto nella mani di Muammar Gheddafi.
Altro protagonista della vicenda è la Lega. Alcuni mesi fa, Bossi dichiarò: «È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice: prendetevi le banche. E noi lo faremo». Il riferimento del gran capo
della Lega era in particolare a due grandi banche: Unicredit e San Paolo Intesa la cui caratteristica fondamentali è di essere controllate (ma non maggioritariamente) da alcune Fondazioni bancarie. Avere uomini della Lega nominati direttamente ai vertici di queste due banche è molto difficile; più semplice è mettere le mani su alcune Fondazioni, nei cui consigli di amministrazione, siedono molti rappresentanti degli enti locali. E negli enti locali nel Nord la Lega ha fato il «pieno».
Non è un caso che nel recente rinnovo del Cda della Fondazione Cassa di risparmio di Verona, la Lega ha piazzato 8 suoi uomini (su 25 consiglieri rinnovati) dei quali 4 nominati dal comune di Verona, il cui sindaco è il leghista Flavio Toti. Il quale ha accusato Profumo di aver gestito «questa vicenda in proprio». Da sottolinere che il controllo delle Fondazoni significa controllo degli utili che vengono girati dalle banche alle Fondazioni e da queste distribuite «in beneficenza». E si tratta di cifre cortese: solo negli ultimi due anni le Fondazioni del Nord est hanno distribuito in beneficenza quasi 1,5 miliardi di euro.
E’ evidente che se i flussi di utili si riducessero (cosa non improbabile se verranno applicati i nuovi parametri patrimoniali previsti dall’accordo di Basilea3) la capacità «clientelare» della Lega di fare beneficenza diminuirebbe. Altro rischio è che Unicredit, con soci di riferimento pieni di denaro, potrebbe chiamare tutti soci a sottoscrivere aumenti di capitale. Che, ovviamente, non piacciono alle Fondazioni: non a caso hanno minacciato di uscire dalle banche.
Ma non ci sono solo i libici e la Lega a tramare contro Unicredit: cioè anche un fronte tedesco. Nel 2005, infatti, Unicredit lanciò un’Opa sulla tedesca Hypo Vereinsbank Ag (controllata da Hvb) dalla quale a cascata mise le mani anche su Bank Austria Creditanstal e Bph (controllate da Hvb). Da allora, i tedeschi esprimono il presidente di Unicredit. Che attualmente è Peter Rampl. Fatto significativo, Rampl ha accusato l’a. d. Alessandro Profumo di non consultarlo e di prendere tutte le decisioni strategiche da solo. L’accusa è stata pubblicata dalla Sudddeutsche Zeintung, quotidiano pubblicato a Monaco di Baviera, città natale di Rampl e sede della Hvb, la banca rilevata nel 2005 da Unicredit,
che nella capitale della Baviera ha la sede della banca d’investimenti del gruppo.
Insomma anche dalla Germania arrivano attacchi a Profumo. Dimenticando che la Hypo, ora Unicredit, ha superato la crisi finanziaria senza patemi d’animo e senza aiuti pubblici, al contrario di moltissimi altre banche tedesche.
Infine c’è lui: Alessandro Profumo. Per ora tace e non gode dell’appoggio del governo di centrodestra. Ieri sera Radiocor lo dava in procinto di dimettersi. Il gioco sarebbe svelato. Finora era evidente che Berlusconi non sapeva scegliere tra il fare uno sgarbo ai libici o alla Lega, assatanata di potere. Cioè di soldi, ma incapace di gestire una banca come dimostra il caso di CreditEuronord che fece un «botto» gigantesco. Poi fu salvata dalla Popolare di Lodi di Fiorani che evitò a parecchi mamanager leghisti guai seri con la giustizia.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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I soldi di Gheddafi piacciono (ne sa qualcosa la Fiat) ma non piace che Tripoli metta il naso negli affari della società nelle quali ha acquisto partecipazioni. Non piace soprattutto alla Lega.
La Libia (la Banca centrale) è presente da molti anni nel capitale di Unicredit. All’inizio come socio del Banco di Roma, poi dopo la fusione dell’istituto romano con Unicredit, in quest’ultima con il 4,99% del capitale che per oltre il 65% è sul mercato. Il problema nasce negli ultimi tempi: il Lia, Libyan Investment Authority, un fondo sovrano che fa capo a Tripoli, comincia a comprare sul mercato azioni di Unicredit e comunica alla Consob di averemesso insieme il2,57% del capitale. Mettendo insieme la quota del Banca centrale libica e quella della Lia, i libici toccano quota 7,56%. Iniziano le proteste: è troppo, visto che esiste un limite statutario del 5% al possesso di capitale. A nulla vale l’obiezione che si tratta di due entità giuridiche distinte: chi accusa sostiene che è tutto nella mani di Muammar Gheddafi.
Altro protagonista della vicenda è la Lega. Alcuni mesi fa, Bossi dichiarò: «È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice: prendetevi le banche. E noi lo faremo». Il riferimento del gran capo
della Lega era in particolare a due grandi banche: Unicredit e San Paolo Intesa la cui caratteristica fondamentali è di essere controllate (ma non maggioritariamente) da alcune Fondazioni bancarie. Avere uomini della Lega nominati direttamente ai vertici di queste due banche è molto difficile; più semplice è mettere le mani su alcune Fondazioni, nei cui consigli di amministrazione, siedono molti rappresentanti degli enti locali. E negli enti locali nel Nord la Lega ha fato il «pieno».
Non è un caso che nel recente rinnovo del Cda della Fondazione Cassa di risparmio di Verona, la Lega ha piazzato 8 suoi uomini (su 25 consiglieri rinnovati) dei quali 4 nominati dal comune di Verona, il cui sindaco è il leghista Flavio Toti. Il quale ha accusato Profumo di aver gestito «questa vicenda in proprio». Da sottolinere che il controllo delle Fondazoni significa controllo degli utili che vengono girati dalle banche alle Fondazioni e da queste distribuite «in beneficenza». E si tratta di cifre cortese: solo negli ultimi due anni le Fondazioni del Nord est hanno distribuito in beneficenza quasi 1,5 miliardi di euro.
E’ evidente che se i flussi di utili si riducessero (cosa non improbabile se verranno applicati i nuovi parametri patrimoniali previsti dall’accordo di Basilea3) la capacità «clientelare» della Lega di fare beneficenza diminuirebbe. Altro rischio è che Unicredit, con soci di riferimento pieni di denaro, potrebbe chiamare tutti soci a sottoscrivere aumenti di capitale. Che, ovviamente, non piacciono alle Fondazioni: non a caso hanno minacciato di uscire dalle banche.
Ma non ci sono solo i libici e la Lega a tramare contro Unicredit: cioè anche un fronte tedesco. Nel 2005, infatti, Unicredit lanciò un’Opa sulla tedesca Hypo Vereinsbank Ag (controllata da Hvb) dalla quale a cascata mise le mani anche su Bank Austria Creditanstal e Bph (controllate da Hvb). Da allora, i tedeschi esprimono il presidente di Unicredit. Che attualmente è Peter Rampl. Fatto significativo, Rampl ha accusato l’a. d. Alessandro Profumo di non consultarlo e di prendere tutte le decisioni strategiche da solo. L’accusa è stata pubblicata dalla Sudddeutsche Zeintung, quotidiano pubblicato a Monaco di Baviera, città natale di Rampl e sede della Hvb, la banca rilevata nel 2005 da Unicredit,
che nella capitale della Baviera ha la sede della banca d’investimenti del gruppo.
Insomma anche dalla Germania arrivano attacchi a Profumo. Dimenticando che la Hypo, ora Unicredit, ha superato la crisi finanziaria senza patemi d’animo e senza aiuti pubblici, al contrario di moltissimi altre banche tedesche.
Infine c’è lui: Alessandro Profumo. Per ora tace e non gode dell’appoggio del governo di centrodestra. Ieri sera Radiocor lo dava in procinto di dimettersi. Il gioco sarebbe svelato. Finora era evidente che Berlusconi non sapeva scegliere tra il fare uno sgarbo ai libici o alla Lega, assatanata di potere. Cioè di soldi, ma incapace di gestire una banca come dimostra il caso di CreditEuronord che fece un «botto» gigantesco. Poi fu salvata dalla Popolare di Lodi di Fiorani che evitò a parecchi mamanager leghisti guai seri con la giustizia.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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