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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 27 agosto 2010

Bomba contro il giudice di Luigi Ciotti

È un episodio grave l’attentato al procuratore di Reggio Calabria Salvatore Di Landro, dopo gli altri recenti fatti di intimidazione, in Calabria e non solo. Un episodio di fronte al quale la solidarietà deve farsi corresponsabilità – un piccolo ma significativo segno è il sit-in che si è tenuto ieri sotto la casa del
magistrato – e che va colto nelle sue dinamiche profonde, nelle sue logiche non evidenti. Quando le cosche arrivano a piazzare una bomba, a mandare messaggi intimidatori, è perché si sentono accerchiate.
La loro dimostrazione di forza è un segno di debolezza. È la riprova che la lotta alle mafie è sulla strada giusta. Di questo dobbiamo ringraziare innanzitutto i magistrati, le forze di polizia e quanti si battono quotidianamente per investigare, per arrestare i latitanti, per reprimere, spesso con poche risorse, il fenomeno mafioso.
Ma il loro impegno non basta. Le mafie si vincono solo con una mobilitazione collettiva, trasversale, quella mobilitazione che proprio in Calabria sta cercando
di costruire un cambiamento. Penso alla rete «Reggio libera Reggio» contro il racket – 60 associazioni e gruppi diversi per riferimenti ma animati dalla stessa sete di giustizia – che insieme ad amministratori seri e onesti si battono per dare alla Calabria un futuro di dignità e di libertà. Penso al lavoro sui beni confiscati, alle realtà che in tutta Italia si impegnano per costruire speranza e lavoro, estirpando le radici della mentalità mafiosa.
Ma la rivolta delle coscienze non può limitarsi a certi territori. Le mafie ingrassano dove c’è vuoto di diritti, di politiche sociali, dove il lavoro è ridotto a merce e le persone sottoposte ad abusi e sfruttamenti. Dove l’interesse privato aggira le norme a difesa del bene pubblico. Dove la legalità non è saldata all’uguaglianza, ai diritti e doveri sanciti dalla nostra Costituzione.
L’impegno va allora inserito in un orizzonte più vasto. La lotta alle mafie è anche una grande sfida educativa e culturale: «i nostri successi – disse il commissario Beppe Montana, ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985 – sono frutto non solo delle investigazioni ma del progresso culturale». La cultura, l’informazione libera e indipendente, il sapere rigoroso e approfondito sono la base di quella cittadinanza responsabile che è il primo antidoto alle mafie e alle varie forme di illegalità. Tutto questo si può riassumere in una parola: etica. È un nodo che tutti, e la politica in primis, dobbiamo affrontare. Finora i codici di autoregolamentazione si sono rivelati fragili argini contro la presenza nelle istituzioni di persone condannate o rinviate a giudizio per reati gravi. Così
la riforma del reato di voto di scambio è un passo necessario se vogliamo colpire i legami tra mafia e politica. E ugualmente non è accettabile un disegno di legge sulle intercettazioni che stralcia la norma Falcone, quella che dispone indagini ad ampio raggio anche per i reati non direttamente collegati alle associazioni mafiose, ma che da sempre sono spunto per l’accertamento di gravi crimini mafiosi. È evidente qui l’intento di coprire le tante forme di illegalità e di corruzione che molte indagini recenti hanno individuato, anche ai più alti livelli. L’Italia è uno dei paesi che ha firmato ma non ancora ratificato la Convenzione penale europea sulla corruzione del 1999 e che ha depenalizzato un reato, il «falso in bilancio», spesso origine dei fondi neri alla base delle attività corruttive. La lotta alle mafie non può essere separata dalla questione dell’etica pubblica. La magistratura deve poter indagare, l’informazione poter informare, i cittadini essere messi nella condizione di conoscere e di decidere.
Essere sulla strada giusta significa allora percorrerla insieme: non delegando, e facendo in modo che nessuno si senta isolato e quindi più soggetto al ricatto e all’intimidazione mafiosa. Le mafie hanno paura del «noi», quando questo «noi» si traduce in fatti coraggiosi e concreti. L’attentato di Reggio Calabria sta, una volta di più, a dimostrarlo. (Fondatore del Gruppo Abele,Presidente di Libera)

Fonte articolo 'Il Manifesto'

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