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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 28 luglio 2010

Cocadrinks, a chi giova la caccia alle streghe? di Giorgio Bignami

La casa brucia, come evidenziano anche i servizi sulla droga sempre più dettagliati e allarmanti nei grandi media - per esempio, quelli di «Sette» del «Corriere della Sera», di cui l'ultimo sulla droga a Roma (22 luglio); o quello sull'escalation del narcotraffico per mano dei criminali serbi su «L'Espresso» del 23 luglio; ma i Nostri sembrano soprattutto preoccupati di dar la caccia alle presunte streghe e di minacciare di mandarle al rogo, come nel caso delle bevande alla foglia di coca. A pensar male si fa peccato, eccetera: ma questo cliché sta diventando così ripetitivo e insistente da far supporre che una tale persecuzione di capri espiatori serva soprattutto a mascherare l'omertà (o peggio) verso i veri responsabili dell'incendio: cioè quelli che travasano i profitti dell'economia criminale in quella legale (è di questi giorni la notizia che oltre 5.000 esercizi sono stati «rilevati» da mafia e camorra); che direttamente o indirettamente foraggiano i politici di ogni razza e colore; eccetera.
Dunque, la nuova puntata del serial «auto-da-fé» è la massiccia mobilitazione contro il pericolo che si allarghi in Italia lo «spaccio» di bibite aromatizzate con foglie di coca, come il Cocalime della Buton di Bologna, o il Kdrink di cui la Qualitaste di Gallarate ha di recente annunciato il lancio.
(L'aromatizzazione con foglie di coca è una procedura perfettamente lecita secondo la Convenzione internazionale e quanto ne discende: e questo, ovviamente, sin che produttori e distributori non siano eventualmente presi con le mani nel sacco per un vero e proprio «drogaggio» illecito della loro merce). «Grave minaccia sociale», tuona Pasquale Franceschini, coordinatore della Giovane Italia (non quella di Giuseppe Mazzini, ma l'organizzazione giovanile del Pdl). Sempre dal Pdl, Mirco Carloni consegna una «viva e vibrante» (direbbe Crozza) mozione al Consiglio regionale delle Marche: un testo all'altezza di Totò e Peppino, dove si parla di un «messaggio altamente diseducativo», destinato soprattutto a quei locali che sono affollati di giovani, discoteche e altro. Dal congresso dei neuroscienziati a Verona ci viene il preoccupato avvertimento contro «una speculazione da condannare».
Infine non poteva mancare una solenne esternazione del Giovanardi-Serpelloni pensiero: in un comunicato del Dipartimento antidroga si annunciano le più rigorose e scientifiche misure di controllo e di analisi chimico-tossicologica sui fiumi di bibite che circolano soprattutto in questa bollente stagione: che sarebbe come campionare e analizzare le acque di tutte le innumerevoli ramificazioni nei delta del Nilo, del Gange, del Missisippi-Missouri. Soldi ben spesi, insomma, meglio ancora di quell'investimento a resa quasi-zero nei test sui lavoratori, di cui allo scritto del 21 luglio di Giuseppe Bortone in questa stessa rubrica.
Ma allora, cui prodest una tale mobilitazione generale? Coca-Cola e Pepsi-Cola sono forse preoccupate per una possibile concorrenza a danno del loro duopolio? E se come scrivono Giovanardi e Serpelloni è «eticamente non accettabile e legalmente ai margini una pubblicizzazione delle bevande legandole al nome di una sostanza stupefacente, quale la cocaina», allora come la mettiamo con la Coca-Cola, la cui formula per incidens resta un segreto gelosamente custodito per sette e più generazioni? Misteri dei Ministeri, avrebbe detto il compianto Augusto Frassineti, che tali misteri aveva saputo esplorare a fondo come voce di dentro: ma di voci di dentro che parlino chiaro ce ne sono ormai ben poche.
Tornando infine al succitato servizio de «L'Espresso», colpisce anche un box dedicato a «Narcostati in America Latina» (Editrice Berti) del questore Piero Innocenti, che ha avuto una lunga e approfondita esperienza in materia. Questa breve nota riferisce che l'autore e il prefatore Gian Carlo Caselli concludono che il sistema narcotraffico è invincibile: a meno, scrive Caselli, di una inversione delle attuali tendenze con l'adozione di politiche alternative. Che certamente non sono quelle seguite sinora dall'agenzia delle Nazioni Unite guidata da Arlacchi e da Costa, ora affidata al russo Fedotov, esponente di un paese ultraproibizionista che invoca una ulteriore escalation della fallimentare guerra alle droghe; e tanto meno dal nostro Paese.


Fonte articolo 'Il Manifesto'

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