(vignetta tratta dal
blog Humor)

Le ultime rivelazioni sulle intercettazioni di
D’Alema e Fassino illegalmente e gentilmente offerte a
Berlusconi, riportano alla mente un altro episodio della sua luminosa carriera, ovviamente dimenticato: quando era lo stesso
Cavaliere a intercettare di nascosto i suoi ospiti per carpire loro false accuse contro
Di Pietro. È l’autunno ‘95 e
Di Pietro, uscito da un anno dalla magistratura, è nel mirino della Procura di Brescia. Ma le inchieste languono e rischiano di finire archiviate. Si avvicina l’entrata in politica del pm più popolare d’Italia e
Berlusconi ne è terrorizzato. Così invita ad Arcore un suo vecchio dipendente e amico, il costruttore
Antonio D’Adamo, che era amico pure di
Di Pietro e nuota in pessime acque, con 40 miliardi di debiti con le banche.
Berlusconi s’impegna ad aiutarlo finanziariamente, ma in cambio vuole una sola cosa:
la testa di Tonino. Quando, alle 12:55 del 7 settembre,
D’Adamo esce dalla villa di Arcore, chiama la figlia che gli domanda: “Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?”.
E D’Adamo: “Certo, Patrizia, c’è tutta una contropartita…”. L’amico Silvio gli ha appena promesso un po’ di respiro dalle banche creditrici e un intervento per sbloccare certi affari edilizi in Libia. Passano due anni e il 13 maggio 1997
Cesare Previti produce a Brescia un memoriale scritto da
D’Adamo che rievoca creativamente il famoso prestito di 100 milioni fatto
dal costruttore all’ex pm e poi restituito, e altri particolari opportunamente ritoccati per accreditare l’ipotesi accusatoria dei pm bresciani: che
Di Pietro abbia concusso il banchiere
Pacini Battaglia per salvarlo da Mani Pulite in cambio di una tangente parcheggiata sui conti di D’Adamo.
Berlusconi va a testimoniare: “
D’Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da
Pacini un finanziamento di 9 miliardi. A fronte di tale finanziamento
D’Adamo avrebbe dovuto restituire a
Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor
Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente”. Dice che, per puro caso, è stata registrata dal suo collaboratore
Roberto Gasparotti la conversazione in cui D’Adamo gli confida il peccato mortale di
Tonino.
Gasparotti presenta ai pm un “taglia e cuci” delle confidenze di
D’Adamo. Ma il contenuto non è cosí chiaro come garantisce il
Cavaliere. È quest’ultimo che tenta di far dire a
D’Adamo che
Di Pietro è un corrotto. Ma
D’Adamo, finito in un gioco più grande di lui che potrebbe condurre entrambi a una condanna per calunnia, si schermisce: “Dottore, lei sa quanto le voglio bene e quindi non ho paura di questa cosa qui, ma se dice una cosa di questo tipo si incasina… lei queste cose le lasci dire a me… lei deve stare fuori…”. Nel nastro “taglia e cuci”
D’Adamo spiega, mentendo, di avere ancora un credito di “100 milioni, 150, 130, non so” con l’
ex pm (che invece ha estinto il debito già nel 1994). Ma quando finalmente va a deporre a Brescia, balbetta, si contraddice e non conferma ciò che non può confermare: e cioè che
Di Pietro fosse un corrotto. Alla fine
l’ex pm verrà prosciolto dal gup Anna Di Martino, che scriverà: “La genesi delle accuse di
D’Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da
Silvio Berlusconi nei confronti
dell’ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio
Berlusconi (e Previti) sospinse
D’Adamo alla Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull’antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica di
D’Adamo”. I nastri evidenziano un’“inquietante soggettiva interpretazione dei fatti da parte del
Berlusconi, ma anche un abbandono strumentale del
D’Adamo a rivelazioni forzatamente alterate dei suoi rapporti con
Di Pietro, nella prospettiva di soddisfare l’ansia accusatoria del suo interlocutore (
Berlusconi) nei confronti dell’ex pm e ottenere urgenti soccorsi”. Ecco, signore e signori: questo è l’uomo che oggi sventola il vessillo della privacy e vuole abrogare le intercettazioni. Quelle legali. Quindi, non le sue.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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