Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 7 aprile 2010
L'Aquila: 'Fiaccolata per i morti, rabbia per chi vive'. La notte della protesta di Eleonora Martini
La sedia riservata al sottosegretario Guido Bertolaso è rimasta vuota fino alla fine.
«Sta arrivando, preparatevi». I vigili urbani, che fanno già fatica a tenere sotto controllo la situazione, vengono allertati dallo staff che precede il capo Dipartimento della Protezione civile.
Qualcuno giura addirittura di averlo visto fermo in un’auto di servizio nei pressi del centro storico in attesa del momento giusto per l’ingresso trionfale nel tendone di Piazza Duomo. Ma che non fosse aria, era già chiaro fin dalle 21:30 di lunedì sera.
A quell’ora, dopo ore di attesa per centinaia di cittadini che fin dal primo pomeriggio avevano occupato tutti gli spazi possibili dentro e fuori la tenda, con i confaloni dei comuni del cratere sismico pronti a far da sfondo per le dirette televisive di mezzo mondo, anche tutti i membri del Consiglio comunale dell’Aquila avevano finalmente preso posto nell’ala a loro riservata per la seduta straordinaria
aperta al pubblico.
Doveva essere il momento più solenne dei due giorni di lutto cittadino e della lunga cerimonia di commemorazione nel primo anniversario del terribile terremoto di un anno fa. Il più alto tributo delle istituzioni civiche alle 308 vittime e a una città che forse non tornerà più come era prima di quella notte che ha segnato per sempre gli abitanti del capoluogo abruzzese. Tutto era pronto, il massimo della contestazione prevista da parte dei comitati cittadini che da settimane animano la protesta contro la mancata ricostruzione del centro storico erano una manciata di cartelli appesi al collo dei primi della fila: «In qualunque caso nessuna protesta, per noi sono giorni di lutto e di dolore», avevano spiegato. Eppure quel luogo simbolico si è trasformato in un podio per i «vincitori» delle recenti elezioni, e quel momento tanto atteso ha dovuto lasciare il passo alle esigenze mediatiche.
Con le telecamere che invadevano senza alcun riguardo l’emiciclo ricomposto sotto il tendone, la rissa dei cronisti dietro ai volti sorridenti del sindaco di Roma Gianni Alemanno e della neo presidente della Regione Lazio Renata Polverini, e con il presidente del Consiglio comunale aquilano trasformato invece in speaker del grande show, costretto a chiedere rispetto a intervistanti e intervistati.
È stato allora che la proverbiale pazienza e gentilezza degli aquilani, già messa a dura prova in questo anno di «miracoli» sotto i riflettori e grandi stenti dietro le quinte, è andata in mille pezzi.
Insieme alla vetrina mediatica. E a Guido Bertolaso non è rimasto altro che fare dietro front e aspettare le quattro del mattino per fare la propria apparizione in pubblico, a fianco di Gianni Letta e nella più rassicurante cornice della Basilica di Collemaggio, accolto dalle amorevoli braccia dell’arcivescovo metropolita Giuseppe Molinari.
«Basta, è ora di farla finita, vergognatevi, che cos’è questa, una passerella? Non sapete organizzare un Consiglio comunale figuriamoci una ricostruzione». Il primo a sbottare ha poco l’aria di essere un militante di estrema sinistra o un occupante di centri sociali: è un signore impettito e rabbioso che non sopporta più di aspettare. Accanto a lui una donna urla qualcosa contro «una bolgia infernale che offende tutti noi, le vittime e i parenti». Sono i primi, ma non sono gli unici. Subito però alcuni consiglieri del Pdl (ma anche qualcuno del Pd) si scaldano, i toni si elevano di parecchi decibel e il signore impettito e arrabbiato molla la sedia che si era accaparrato con tanta cura e se ne va.
La calma sembra tornare, le telecamere si accomodano fuori dal tendone, gli invitati si siedono al loro posto: oltre ad Alemanno e Polverini, e alla sedia vuota di Bertolaso, c’è il neo presidente della Provincia dell’Aquila, il Pdl Antonio Del Corvo, la presidente uscente Stefania Pezzopane, il governatore Gianni Chiodi, il prefetto Franco Gabrielli, il vescovo ausiliare Giovanni D’Ercole (inviato dalla Santa Sede a «sorreggere» il metropolita Giuseppe Molinari). Più tardi, a contestazione già avviata, arriverà anche la vicepresidente della Camera Rosi Bindi. Il programma della celebrazione prevede che D’Ercole prenda la parola, come il sindaco Alemanno, e il commissario straordinario per la ricostruzione Chiodi. Bertolaso, ormai, è fuori lista. Il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti ha dato forfait, così come Sergio Chiamparino che doveva rappresentare i comuni italiani dell’Ance. Sono fortunati, perché sotto il tendone di Piazza Duomo il
canovaccio salta a colpi di contestazione, lasciando volti di politici esterrefatti se non addirittura quasi intimoriti, come nel caso dei due rappresentanti della destra sociale romana e laziale che sgranano gli occhi verso quella massa di «montanari» inferociti. Gli unici applausi sono per i Vigili del fuoco, gli «angeli» di tutti, e qualche battimano in più se lo guadagna pure l’aquilana Pezzopane. Gli altri, tutti o quasi, non trovano comprensione.
Tocca alla vice presidente del Consiglio comunale leggere i messaggi del capo dello stato Giorgio Napolitano, del presidente del Senato Renato Schifani e del premier Silvio Berlusconi. E non è un compito facile. Troppo freddo e istituzionale, il saluto di Napolitano non rasserena gli animi malgrado parli di «poteri eccezionali» della Protezione civile e chieda al Dipartimento di dedicarsi
«alle calamità naturali» senza perdersi «in direzioni diverse». Viene applaudito solo quando ringrazia i pompieri.
Schifani, almeno, ha il buon gusto di inviare un breve messaggio e si aggiudica solo qualche fischio. Berlusconi no. Il suo è un discorso che condanna la lettrice a una decina di minuti di sofferenze. È un crescendo: quando rivendica il successo dell’operazione di soccorso immediato solo poche voci di disappunto si alzano, ma quando comincia il lungo elenco di «miracoli» fatti in terra abruzzese, e snocciola cifre che non hanno alcun fondamento come il «tetto per 20 mila persone», quando lo spot mediatico diventa intollerabile, scoppia la bagarre. Da un lato i consiglieri e i fan del Pdl - «E questa è pure gente che magari vive nelle case di Berlusconi, sputano nel piatto dove mangiano» - e dall’altro non solo «gli avvoltoi di sinistra», come li chiamavano ieri mattina alcuni giornali filogovernativi, o i «pochissimi contestatori non aquilani» visti con gli occhi di Alemanno. Il Cavaliere, come un imperatore, suscita la riconoscenza dei suoi sudditi.
Cialente ci prova a tranquillizzare e invita a vedere la presenza di Alemanno e Polverini «in rappresentanza di tutte le regioni d’Italia che ci hanno inviato la loro solidarietà». Ma non convince, soprattutto quando si rivolge a «Gianni» chiamandolo «fratello». Quando poi l’ex sindaco Enzo Lombardi (Dc negli anni ’80, e basta la parola) e il capogruppo Pd Pietro Di Stefano richiamano i cittadini a un «atteggiamento più civile» chiedendo scusa a nome della città, anche i più composti si agitano.
«Non siamo bambini, come si permette?», urla una conosciuta e stimata docente universitaria. Sono gli stessi cittadini che subito dopo - particolare forse sfuggito al prefetto Gabrielli che si augura «che gli aquilani e L’Aquila siano quelli della fiaccolata» - riempiranno silenziosi e composti a migliaia le strade della città e si stringeranno in un corale emesto abbraccio alle 3.32, mentre la campana delle Anime sante suonerà 308 volte le vite spezzate sotto i crolli di un anno fa.
Quando finalmente si riesce a mettere la parola fine alla seduta del Consiglio comunale, Rosi Bindi è sconvolta: «Immaginavo che qualcuno avrebbe colto l’occasione per protestare, ma non tutto questo». Un giro per L’Aquila però ancora lo deve fare.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
«Sta arrivando, preparatevi». I vigili urbani, che fanno già fatica a tenere sotto controllo la situazione, vengono allertati dallo staff che precede il capo Dipartimento della Protezione civile.
Qualcuno giura addirittura di averlo visto fermo in un’auto di servizio nei pressi del centro storico in attesa del momento giusto per l’ingresso trionfale nel tendone di Piazza Duomo. Ma che non fosse aria, era già chiaro fin dalle 21:30 di lunedì sera.
A quell’ora, dopo ore di attesa per centinaia di cittadini che fin dal primo pomeriggio avevano occupato tutti gli spazi possibili dentro e fuori la tenda, con i confaloni dei comuni del cratere sismico pronti a far da sfondo per le dirette televisive di mezzo mondo, anche tutti i membri del Consiglio comunale dell’Aquila avevano finalmente preso posto nell’ala a loro riservata per la seduta straordinaria
aperta al pubblico.
Doveva essere il momento più solenne dei due giorni di lutto cittadino e della lunga cerimonia di commemorazione nel primo anniversario del terribile terremoto di un anno fa. Il più alto tributo delle istituzioni civiche alle 308 vittime e a una città che forse non tornerà più come era prima di quella notte che ha segnato per sempre gli abitanti del capoluogo abruzzese. Tutto era pronto, il massimo della contestazione prevista da parte dei comitati cittadini che da settimane animano la protesta contro la mancata ricostruzione del centro storico erano una manciata di cartelli appesi al collo dei primi della fila: «In qualunque caso nessuna protesta, per noi sono giorni di lutto e di dolore», avevano spiegato. Eppure quel luogo simbolico si è trasformato in un podio per i «vincitori» delle recenti elezioni, e quel momento tanto atteso ha dovuto lasciare il passo alle esigenze mediatiche.
Con le telecamere che invadevano senza alcun riguardo l’emiciclo ricomposto sotto il tendone, la rissa dei cronisti dietro ai volti sorridenti del sindaco di Roma Gianni Alemanno e della neo presidente della Regione Lazio Renata Polverini, e con il presidente del Consiglio comunale aquilano trasformato invece in speaker del grande show, costretto a chiedere rispetto a intervistanti e intervistati.
È stato allora che la proverbiale pazienza e gentilezza degli aquilani, già messa a dura prova in questo anno di «miracoli» sotto i riflettori e grandi stenti dietro le quinte, è andata in mille pezzi.
Insieme alla vetrina mediatica. E a Guido Bertolaso non è rimasto altro che fare dietro front e aspettare le quattro del mattino per fare la propria apparizione in pubblico, a fianco di Gianni Letta e nella più rassicurante cornice della Basilica di Collemaggio, accolto dalle amorevoli braccia dell’arcivescovo metropolita Giuseppe Molinari.
«Basta, è ora di farla finita, vergognatevi, che cos’è questa, una passerella? Non sapete organizzare un Consiglio comunale figuriamoci una ricostruzione». Il primo a sbottare ha poco l’aria di essere un militante di estrema sinistra o un occupante di centri sociali: è un signore impettito e rabbioso che non sopporta più di aspettare. Accanto a lui una donna urla qualcosa contro «una bolgia infernale che offende tutti noi, le vittime e i parenti». Sono i primi, ma non sono gli unici. Subito però alcuni consiglieri del Pdl (ma anche qualcuno del Pd) si scaldano, i toni si elevano di parecchi decibel e il signore impettito e arrabbiato molla la sedia che si era accaparrato con tanta cura e se ne va.
La calma sembra tornare, le telecamere si accomodano fuori dal tendone, gli invitati si siedono al loro posto: oltre ad Alemanno e Polverini, e alla sedia vuota di Bertolaso, c’è il neo presidente della Provincia dell’Aquila, il Pdl Antonio Del Corvo, la presidente uscente Stefania Pezzopane, il governatore Gianni Chiodi, il prefetto Franco Gabrielli, il vescovo ausiliare Giovanni D’Ercole (inviato dalla Santa Sede a «sorreggere» il metropolita Giuseppe Molinari). Più tardi, a contestazione già avviata, arriverà anche la vicepresidente della Camera Rosi Bindi. Il programma della celebrazione prevede che D’Ercole prenda la parola, come il sindaco Alemanno, e il commissario straordinario per la ricostruzione Chiodi. Bertolaso, ormai, è fuori lista. Il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti ha dato forfait, così come Sergio Chiamparino che doveva rappresentare i comuni italiani dell’Ance. Sono fortunati, perché sotto il tendone di Piazza Duomo il
canovaccio salta a colpi di contestazione, lasciando volti di politici esterrefatti se non addirittura quasi intimoriti, come nel caso dei due rappresentanti della destra sociale romana e laziale che sgranano gli occhi verso quella massa di «montanari» inferociti. Gli unici applausi sono per i Vigili del fuoco, gli «angeli» di tutti, e qualche battimano in più se lo guadagna pure l’aquilana Pezzopane. Gli altri, tutti o quasi, non trovano comprensione.
Tocca alla vice presidente del Consiglio comunale leggere i messaggi del capo dello stato Giorgio Napolitano, del presidente del Senato Renato Schifani e del premier Silvio Berlusconi. E non è un compito facile. Troppo freddo e istituzionale, il saluto di Napolitano non rasserena gli animi malgrado parli di «poteri eccezionali» della Protezione civile e chieda al Dipartimento di dedicarsi
«alle calamità naturali» senza perdersi «in direzioni diverse». Viene applaudito solo quando ringrazia i pompieri.
Schifani, almeno, ha il buon gusto di inviare un breve messaggio e si aggiudica solo qualche fischio. Berlusconi no. Il suo è un discorso che condanna la lettrice a una decina di minuti di sofferenze. È un crescendo: quando rivendica il successo dell’operazione di soccorso immediato solo poche voci di disappunto si alzano, ma quando comincia il lungo elenco di «miracoli» fatti in terra abruzzese, e snocciola cifre che non hanno alcun fondamento come il «tetto per 20 mila persone», quando lo spot mediatico diventa intollerabile, scoppia la bagarre. Da un lato i consiglieri e i fan del Pdl - «E questa è pure gente che magari vive nelle case di Berlusconi, sputano nel piatto dove mangiano» - e dall’altro non solo «gli avvoltoi di sinistra», come li chiamavano ieri mattina alcuni giornali filogovernativi, o i «pochissimi contestatori non aquilani» visti con gli occhi di Alemanno. Il Cavaliere, come un imperatore, suscita la riconoscenza dei suoi sudditi.
Cialente ci prova a tranquillizzare e invita a vedere la presenza di Alemanno e Polverini «in rappresentanza di tutte le regioni d’Italia che ci hanno inviato la loro solidarietà». Ma non convince, soprattutto quando si rivolge a «Gianni» chiamandolo «fratello». Quando poi l’ex sindaco Enzo Lombardi (Dc negli anni ’80, e basta la parola) e il capogruppo Pd Pietro Di Stefano richiamano i cittadini a un «atteggiamento più civile» chiedendo scusa a nome della città, anche i più composti si agitano.
«Non siamo bambini, come si permette?», urla una conosciuta e stimata docente universitaria. Sono gli stessi cittadini che subito dopo - particolare forse sfuggito al prefetto Gabrielli che si augura «che gli aquilani e L’Aquila siano quelli della fiaccolata» - riempiranno silenziosi e composti a migliaia le strade della città e si stringeranno in un corale emesto abbraccio alle 3.32, mentre la campana delle Anime sante suonerà 308 volte le vite spezzate sotto i crolli di un anno fa.
Quando finalmente si riesce a mettere la parola fine alla seduta del Consiglio comunale, Rosi Bindi è sconvolta: «Immaginavo che qualcuno avrebbe colto l’occasione per protestare, ma non tutto questo». Un giro per L’Aquila però ancora lo deve fare.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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