Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 5 marzo 2010

TRE MILIONI DI RICORDI di Loris Campetti

I giudici sono di parte, anzi talebani. Meglio liberarsene. Le leggi sono lacciuoli, formalismi che tagliano le ali al libero fluire dell'impreditorialità, sia essa politica che economica. Così come le regole, le leggi si fanno e si disfano. Anzi, ormai è il potere esecutivo a scriverle al punto che del Parlamento si potrebbe anche fare ameno: viviamo nell'emergenza, bisogna fare in fretta e la democrazia formale è solo un impiccio burocratico. I sindacati sono un cascame del Secolo breve. Tutto è mobile, flessibile e tutti sono ragionevolmente individualisti. Dunque, perché non passare dalla contrattazione collettiva a quella individuale - ogni lavoratore di fronte al suo padrone per farsi valere e strappare mirabilanti garanzie e vantaggi per sé?Detto fatto. Sarà pure divisa la destra che ci governa. Sarà pur vero, e lo è, che nel Pdl è in atto una guerra feroce per la (futura) egemonia: ma resta il fatto che la destra governa e lo fa con pugno di ferro. Una volta sfondate le trincee sindacali e ridotti al ruolo di ascari due sindacati su tre, cambiano leggi e regole, modificano la costituzione materiale e formale del paese. Hanno archiviato il «vecchio» diritto del lavoro, sterilizzato lo Statuto dei lavoratori, liquidato l'articolo 18 in difesa del quale tre milioni di italiani erano scesi al Circo Massimo appena 8 anni fa. Ora chi è licenziato senza giusta causa – termine freddo, dietro cui si nascondono prepotenze, discriminazioni, violazioni di leggi e regole, colpi bassi sui più deboli – può anche veder riconosciute le sue ragioni,ma non ha più automaticamente diritto a essere reintegrato. Del giudice si può fare a meno, sostituito da un «arbitro », chissà se confortato dalla moviola di Biscardi. I più deboli, soli di fronte al padrone al momento di stipulare il contratto, non potranno che rinunciare al ricorso al giudice. Il precariato è destinato a crescere e il precario che avesse diritto a un contratto «regolare» dovrà accontentarsi di una mancia. I contratti collettivi, già addomesticati dalle nuove regole imposte a tutti con il consenso di Cisl e Uil, potranno essere ancora ritoccati per cancellare l'articolo 18.
Viviamo in un paese in cui non fa scandalo che la ThyssenKrupp, quella della strage di Torino, pretenda dai suoi dipendenti sopravvissuti la rinuncia a costituirsi parte civile in cambio del «dono» della cassa integrazione. Dunque, perché scandalizzarsi se chi dovrebbe avere a cuore la democrazia è invece distratto dai garbugli elettorali? C'è qualche sussulto, è vero. Si parla di ricorso alla Corte costituzionale, qualcuno è pronto a raccogliere le firme per un referendum. Ma se al nostro amico Paolo Ferrero non resta che lo sciopero della fame per denunciare il gravissimo vulnus inferto al lavoro e al paese, vuol dire che siamo messi male.
Essere messi male non vuol dire che non si possa risalire la china. E' già in agenda un appuntamento importante: il 12 marzo c'è lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Facciamone tutti, anche senza chiedere il permesso, la prima tappa di un lungo cammino verso la riconquista della democrazia.

Fonte articolo e vignetta 'Il Manifesto'

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