Hanno aderito i partiti dell'opposizione (con tanto di bandiere, tranne il Pd), hanno aderito sigle e la Cgil, e per primi aderiscono - presenti o assenti - quelli che guarderanno il documentario 'Dittatura' al posto di Ballarò su RaiTre. Coincidenza casuale, e ancor più affascinante. I politici che adoravano sedersi di fronte alle telecamere - come Fausto Bertinotti, recordman di presenza a Porta a Porta - devono sgomitare al fianco dei giornalisti disoccupati e inneggia-ti dalla folla. La squadra di Annozero - Michele Santoro al centro, Sandro Ruotolo e Vauro a seguire - avanza compatta verso un muretto umano variopinto: donne, tante donne, ragazzi e ragazze, corrispondenti e dirigenti Rai insieme. Pier Luigi Bersani passeggia con il sigaro acceso: "Dobbiamo recuperare quel pezzo di libertà perduta. La maggioranza ha dato un segno di debolezza, non di forza". I pensieri politici con i propri tempi e le proprie liturgie, in una via in salita convertita in piazza, sono superati dai cori del popolo viola: “Chi non salta Minzolini è” oppure “Lotta dura”. L'aria è tiepida, eppure c'è il timore che il rumore sia vano. Antonio Di Bella ha un'idea: "Ho scritto alla direzione generale: possiamo riprendere con Ballarò in altre fasce orarie". E poi allarga le braccia, il direttore di RaiTre: "L'ho fatto per scrupolo. Perché non ci possono spegnere all'improvviso" . Floris potrebbe indossare quel bavaglio bianco che la gente porta in silenzio: "E' un tentativo goffo e buffo di fermare l'oceano con le mani. Andiamo in vacanza per un mese, poi che faranno? Dovremo riprendere. E' il momento più grottesco della politica italiana". L'aveva promesso, Michele Santoro è sorridente e - parole sue - con la grinta dei giorni migliori: "Se fosse qui Vespa, l'abbraccerei, senza nessuna polemica. Perché quando saremo meno voci, sarà più difficile lavorare anche per lui. La colpa non è di Annozero: io non ho fatto la marachella. E se fosse così, sarebbe peggio: preferiscono azzerare la Rai, pur di zittire noi". E spiega: “Non voglio andare in onda come un avatar dell’informazione, un altro da me”. Sarà perché San-toro è stato convincente, ma alla fine appare anche Bruno Vespa e sale pure sul palco. Applaudito anche lui. La protesta contagia la Rete, coinvolge, appassiona: "Riuniamoci sotto la sede di corso Sempione", scrive il popolo viola di Milano. E a Bari preparano i picchetti intorno alla redazione pugliese. E a Roma in via Teulada. E i dirigenti scrivono: "Si rischia di soffocare una volta per tutte la Rai". E l’Usigrai ha inviato un video messaggio per i telegiornali, le ultime risacche dell'informazione nel servizio pubblico: "Chiediamo un immediato ripensamento delle decisioni che, oltre a svilire l’articolo 21 della Costituzione, determinano un danno economico per l’azienda. Speriamo che il nostro appello dia voce alla delusione". La proposta di Mauro Masi, asserragliato in ufficio per riempire i palinsesti svuotati, spacca in due, in tre, divide in orizzontale. Anche il Pdl che aveva votato con entusiasmo la norma di Marco Beltrandi, l'origine dei mali: "E' assurdo che - dice Mario Valducci del Pdl, presidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni - durante una campagna elettorale non vi sia un’informazione adeguata per far conoscere ai cittadini i candidati e i loro programmi. Questa è una conseguenza figlia della par condicio, una legge che abbiamo sempre definito 'bavaglio': è ora di cambiarla".
La censura alla Rai è tollerabile, la par condicio per contenere il Pdl telegenico è sbagliata. Contraddizioni. I generali e caporali della Rai sono fedeli al capo: "Le scelte dei vertici si applicano, non si commenta", e annuisce Mauro Mazza, direttore di RaiUno.
Fonte articolo e foto 'Il fatto Quotidiano'
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